Per il mio bene, di Mimmo Verdesca
Forse troppo drastico e sovraccarico, è al tempo stesso un ritratto veritiero e trasognato di un’esperienza traumatica. Primo film di finzione del regista.

Dopo quattro documentari dedicati al mondo del cinema che gli hanno permesso di aggiudicarsi 2 Nastri d’argento ai David (In arte Lilia Silvi, Sciuscià 70), Mimmo Verdesca nel primo lungometraggio di finzione si cimenta con un dramma. Per il mio bene racconta la storia di Giovanna (Barbara Bobulova), amministratrice delegata della ditta Zanon, dove vengono tagliate e levigate lastre di pietra pregiata, un’azienda litica che rappresenta l’eredità di famiglia dopo la scomparsa del padre. Quando le viene diagnosticato un tumore maligno al fegato, d’improvviso le manca la terra sotto i piedi. In questo delicato frangente scopre di essere stata abbandonata in fasce, dopo che la madre biologica si era rifiutata di riconoscerla. Ritrovarla prima di morire è una corsa contro il tempo.
Girato tra Roma e Verona, nella parte lacustre che si affaccia sul lago di Garda, il film si muove dentro fasi di criticità assoluta, si nutre delle reazioni impusive e spontanee, delle decisioni prese con le spalle al muro. Costruisce dei caratteri e della maschere, delle individualità precise e singolari, poi le getta nel tumulto dell’esistenza alla deriva, e dalle acque traumatiche ed inquiete trova una verità e la pace agognata da sempre. Una tragedia moderna sulle bugie a fine di bene, sul momento giusto che non arriva mai, sul bisogno di nascondere le debolezze, di presenziare agli eventi, di correre e sudare senza sosta e ritrovarsi a guardare un volto sconosciuto allo specchio prima di stramazzare al suolo. Diffidenze paure e fantasmi. Lo sguardo si perde negli incantevoli e nebbiosi scorci paesaggistici, immobili ed agitati dal passato e dai ricordi, cerca una terapia per il dolore, di trovare un aiuto, di ridurre la distanza umana tra due esseri sconosciuti eppure legati così intimamente.
Per il mio bene è sostenuto da ottime prove attoriali, in primis quella della protagonista perfettamente calata nella parte, a cui si aggiungono il ritratto esausto di Marie-Christine Barrault, la madre sciagurata, quello preoccupato di Stefania Sandrelli che interpreta la madre adottiva, la giovane Sara Ciocca ed infine Leo Gullotta, avido custode della casa dove Giovanna troverà rifugio. Forse troppo drastico e sovraccarico nell’affrontare tematiche di impatto già devastanti, incluso un finale pleonastico che nulla aggiunge alla vicenda, trova uno strano equilibrio nel silenzio e nella notte, nella contemplazione muta delle fragilità esposte alle intemperie, nella fotografia e nella scenografia oggetti manifesti di adeguata attenzione. L’eccesso di scrittura viene assorbito dagli ambienti interni ed esterni, anzi più le parole si diradano, più funziona la connessione con il rimosso, con i segreti nascosti nel profondo di un cuore anestetizzato, e nel buio fitto si comincia a vedere una luce, uno spiraglio, ed affiorano i dettagli di una vita, diventata un mucchio di cianfrusaglie che serve per tenere insieme i cocci.
Regia: Mimmo Verdesca
Interpreti: Barbora Bobulova, Marie-Christine Barrault, Stefania Sandrelli, Sara Ciocca, Leo Gullotta, Grazia Schiavo, Fabio Grossi, Gualtiero Burzi, Fabrizio Apolloni, Diego Carli, Marco Galli, Valentina Gristina, Lorenza Tomasi
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 100′
Origine: Italia, 2024