"Per Massimo.Lettera da uno sconosciuto"

Sei la vita che ci scorre dentro, il volo che osiamo soltanto quando la visione di un film, di un brandello qualsiasi di sequenza, di un angolo di scena, ci pietrifica, si stravolge, ci manda in subbuglio tutta l'esistenza.

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Tanti auguri Massimo. Non ci interessano le celebrazioni ufficiali, non abbiamo voglia di metterti sull'altare, di onorarti, di ricordarti. Passiamo la mano, c'è chi sa farlo molto meglio di noi, c'è chi è pagato apposta per farlo. Il problema è che non possiamo ricordarti oggi, solo oggi, ripensando a quello che ci hai dato, a tutto ciò che sei riuscito a portare nelle nostre vite. La semplice commemorazione va di pari passo con la memoria, ma entrambe sono categorie che certo non si adattano ad un corpo vivo, saltellante, irriverente, malinconico come il tuo. Non possiamo dare alcuna memoria/ricordo/pensiero di te. Sei noi, sei il cinema che continuiamo ad amare, sei un'immagine, una voce, un rallentamento, un'esitazione. Sul grande schermo, come nella vita di tutti i giorni, senza fratture, senza rintoppi di continuità. E' il tuo corpo a parlarci, a possederci, ad indicarci perché inseguiamo nel cinema quello che non potremo mai essere; sei tu d'altronde ad averci indicato che non esiste un cinema, ma la vita, quella inenarrabile, quella che ti scivola sotto mano, e solo lì ti rendi conto che non puoi fare niente per bloccarla, per fissarla su una lastra rigida e immobile. Sei la vita che ci scorre dentro, il volo che osiamo soltanto quando la visione di un film, di un brandello qualsiasi di sequenza, di un angolo di scena, ci pietrifica, si stravolge, ci manda in subbuglio tutta l'esistenza. Avevi ragione, possiamo dirlo con sicurezza ancor maggiore oggi, ad opporti ogni volta alla delimitazione del tuo cinema/respiro/vita in un solo titolo, all'interno di un'unica accezione, per un unico consumo. Parlano chiaro i tuoi titoli, quelle splendide dichiarazioni d'amore alla indeterminazione che scorre tra linguaggio e realtà, tra la volontà di inseguire il respiro del reale e quello di fissarlo in una locuzione sintattica insufficiente, inane, impotente. Mai come oggi (ripensando anche alla polemica sulla Nouvelle Vague) abbiamo bisogno di un cinema che ci inchiodi all'esperienza del poter vivere in questo mondo, cerchiamo come disperati l'ombra di una visione imperfetta, sbagliata, dunque attaccabile. Non abbiamo bisogno di rivedere i tuoi film, di ripensare ai tuoi gesti, di rielaborare i tuoi movimenti fuori/dentro il set. Ci scorrono dentro parallelamente a tutti i nostri atti/pensieri, sono parte di noi, eppure a volte sentiamo il bisogno di fare due conti con la sofferenza della nostra vita, con i piccoli disagi del quotidiano, con la voglia di avere a che fare con l'immediatezza reale di uno sguardo che sappia ancora raccontarci qualcosa che sappia di noi. Sai, non è facile, soprattutto oggi.

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Ma ti stiamo annoiando forse, già ti vediamo alzare le spalle e farfugliare qualcosa che non riusciamo a capire. Fa niente però, abbi pazienza. Qualche settimana fa abbiamo visto campeggiare in tutte le edicole italiane il DVD del tuo malconcio e indimenticabile postino, tra slanci nerudiani e accensioni sentimentali, e non possiamo nasconderti che ci ha fatto un certo effetto la tua immagine digitalizzata, la tua voce lanciata nei cieli alti della perfezione sonora, ma siamo sinceri, non ci ha aggiunto nulla, anzi. E' bello continuare a vederti nell'indecisione cromatica del vecchio VHS, forse ti si addice anche di più soprattutto per la sua continua esibizione della mancanza di qualcosa, per la mancata esibizione di un certo design formale. Dobbiamo essere sinceri, è bello rivederti, oggi. Il tuo corpo, la tua voce, i tuoi balbettamenti rappresentano una piccola/immensa rivoluzione in gran parte del cinema di oggi, ma ancor di più arduo è forse il confrontarci con quelle immagini che non ci siamo mai stancati di rielaborare, di re-inventare, di far schizzare su orbite ogni volta differenti. Continui a darci il dono della benedetta imprecisione, suggellato da una precisa volontà di non dire mai una parola finale sull'uomo e sul suo sguardo, sulla vita, sull'amore, sulle in-decisioni da prendere, sulle scelte da affrontare. Non smettiamo un attimo di rimasticarti, in preda forse ad un desiderio nascosto di poter ri-partecipare col tuo sorriso alla magia del cinema che si incontra con la vita. Quando scivoli dolcemente sulle superfici calde dello schermo per dirci di non saper dire nulla, quando i tuoi giri di parole cercano di nascondere il disagio d'esserci, la scusa per il ritardo di sempre, la malcelata indifferenza per vite che corrono sino allo spasimo in cerca di corrispondenza con un determinato tempo. Ecco, forse è questo che stiamo cercando di dirti. La temporalità coatta di chi sta al mondo è una forma di omologazione al tempo istituzionalizzato che tu ci hai sempre insegnato a rifiutare. Il tuo cinema non è adatto a seminari di studi, a pallosi convegni, a serate in tema. Siamo qui per chiederti (ma, attenzione, non vogliamo nessuna risposta) che cos'è davvero il tuo cinema, dove sta andando, di che è fatto. Lo sappiamo, abbiamo già risposto prima, ma è una risposta che non ci convince neanche un pò. Diamo una lunga, interminabile, golosa occhiata a Pensavo fosse amore… e in quel sublime istante non ci viene in mente niente da dire, non una parola, non una spiegazione, non un'analisi. E' la vita che ti prende, è il progetto a lungo (infinito) termine rosselliniano di sfinire la fine, di ricominciare da uno, da tre, non importa, è l'immagine che è, ma che potrebbe essere al tempo stesso il suo contrario. Il tuo corpo salta da una parte all'altra dello schermo, imprendibile, fugace, difficile da inquadrare in una sola sequenza, in un solo battuto di ciglia, in una sola risposta. Il mondo intero proprio. Quello che non hai mai smesso di filmare, di piangere, di rimpiangere, di mormorare. In questi giorni tanti si accalcano dalle retrovie del mondo del cinema per omaggiarti, per festeggiarti, per ricordarti. Noi non lo facciamo. Ci basta prendere un tuo film, desiderarlo per l'ennesima volta, consumarlo nella gioia di istanti accavallati che non ci toglierà mai nessuno. E poi ti vediamo/sentiamo continuamente. Nel cinema che amiamo oggi, nei regali inaspettati e non chiesti che ci fa la vita. Ti sei lì. Cinema senza tempo.


Presenza dolce d'amore.

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