Per un Natale Afrobeat. In Loving Memory of Tony Allen

Buon 25 dicembre con i ritmi afrobeat trasportati dalla musica di Tony Allen, tra le perdite più dolorose di questo 2020, e dei suoi discepoli Moses Boyd, Yussef Dayes, Keleketla, Jimi Tenor…

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È stato, questo 2020, un anno in cui abbiamo imparato — o almeno, abbiamo provato ad imparare — che le perdite possono essere improvvise, incalcolabili, irrimediabili.
Di questa pandemia ci porteremo dietro immagini forti, divenute iconiche di un presente ineffabile. A marzo le camionette dell’esercito portavano via centinaia e centinaia di bare che non avevano ricevuto nemmeno un adeguato saluto.
Nei mesi abbiamo perso nonni, amici, conoscenti, artisti. E se l’elaborazione del lutto diventa ancor più complessa quando non supportata da un rito che possa sancire definitivamente la conclusione di un percorso terreno, ciò che accade all’artista, nel momento in cui mette fine alla sua permanenza tra i vivi, è una sorta di definitiva mistificazione della sua arte. 

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Per colpa dell’attuale pandemia o per motivi altri, il 2020 è stato anche l’anno che ci ha fatto salutare musicisti, attori, registi di statura elevatissima. Ci siamo domandati un po’ tutti: «come faremo senza i sorrisi sornioni di Gigi Proietti?»,  oppure «come affronteremo un festival senza la proiezione dell’ultimo Kim-Ki-duk?».


E gli amanti dell’afrobeat come faranno senza la batteria del maestro Tony Allen? Una carriera straordinaria, quella del percussionista nigeriano: una vita al fianco di Fela Kuti con l’intento di rendere giustizia, in Europa, a delle sonorità che sono un inno di riscossa.

Il paradosso è che Tony Allen viene a mancare in un anno che forse verrà ricordato proprio per il ripresentarsi prepotente delle sonorità afrobeat, ritornate definitivamente in auge sulla scia dell’ondata afrofuturista che ha permeato i principali autori della scena jazz britannica e americana.

Il black lives matter è forse l’espressione più sincera che ci si potesse aspettare da un Occidente apparentemente necrotizzato, fino all’altro ieri. Movimentismo e musica dunque riprendono ad andare di pari passo; gli artisti ricominciano finalmente ad essere percepiti come paladini dei diritti civili.

Allora lo spirito di Tony Allen continua ad aleggiare in un disco tra i più emblematici tra quelli usciti quest’anno, Dark Matter (nome omen…) di Moses Boyd: persiste in maniera sfacciata riascoltando pezzi come BTB, ma sopravvive anche alla svolta prog rock che si sente ad un certo punto nell’LP.
Un approccio, quello di voler mescolare prog rock e funk, che ritorna anche nell’ultimo lavoro dell’ enfant prodige del giro londinese Tom Misch, che a questo punto del suo percorso arriva a domandarsi: What Kinda Music?


Partner stabile dell’intero progetto è il batterista Yussef Dayes, uno che già aveva fatto parlare di sé con Black Focus (in duo con Kamaal Williams), e che in certe tracce di What Kinda Music sembra aver rubato davvero le bacchette a Mr. Allen (vedasi, su tutte, Tidal Wave). 
Di questo 2020 all’insegna del leggendario batterista non potremmo certo dimenticare, oltre al bellissimo Rejoice edito assieme a Hugh Masekela, anche il progetto internazionale Keleketla!,  portato avanti assieme a nomi roboanti della word music contemporanea come Tenderlonius, il sempre presente Shabaka Hutchings, Joe-Armon Jones ed una selezione fissa di polistrumentisti africani. Durante l’anno è uscito un disco irrinunciabile, che prende proprio il nome del progetto, e che di recente è stato affiancato da una sorta di Greatest Hits dall’animo più sfacciatamente dance/dub.

E per concludere questa carrellata di titoli elencati a dimostrazione che Tony Allen è vivo e lotta assieme a noi, è doveroso citare Aulos, ultima fatica del più nero dei musicisti europei: il finlandese Jimi Tenor.
Tenor è uno che, manco fosse Peter Brook, scappava in Ghana per avere un contatto diretto con le radici della musica che aveva intenzione di rielaborare, ed il suo animo più equatoriale che finnico si rispecchia in ogni traccia dell’ultimo disco.
Le tastiere Moog utilizzate assieme a Tony Allen in OTO Live Party lasciano il passo a suoni di più incerta provenienza: flauti di Pan, tempi swing, acid house.   

È un mondo in festa, quello registrato da Tenor, in un disco che riprende la classicità per poi stravolgerla in via definitiva. Come a dire che ci aspetta un futuro in cui sarà necessario riscrivere da capo i canoni artistici conosciuti sino ad ora. Un futuro in cui Tony Allen è già un classico che aveva deciso di reinventarsi da solo.

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