#PerSo18 – Almost nothing. CERN Experimental City. Incontro con Anna de Manincor

La regista italiana propone con il collettivo ZimmerFrei un’immersione umana e rispettosa nel più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle, dove è stato inventato internet

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Almost Nothing” può essere tutto o niente. Una particella elementare in accelerazione, un’immagine ferma, la differenza tra materia e antimateria, un attimo sfuggente o una storia infinita. Oppure, il nostro posto nell’universo. Più che cercare di definire qualcosa, o semplicemente capire ciò che abbiamo appena visto, dopo la proiezione del film Almost nothing – CERN: experimental city – un’immersione dentro il CERN, l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare e il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle – la regista italiana Anna de Manincor invita i presenti al Cinema Méliès a chiudere gli occhi, sentire il movimento delle macchine che contengono la storia invisibile dell’umanità e farsi delle domande senza per forza cercare risposte. Il documentario è parte della sezione PerSo Cinema italiano del Festival – accanto ad altre produzioni come Country for Old Men, Happy Winter, Imma, Lorello e Brunello e Pagine Nascoste – e propone uno sguardo su di una comunità scientifica attiva che lavora in silenzio, dove sono nate alcune delle innovazioni tecnologiche più importanti per l’uomo, come l’acceleratore di particelle ATLAS e il vero e proprio Internet. Scoperte che, secondo i racconti degli scienziati, “probabilmente sono state fatte in mezzo una chiacchiera informale nella caffetteria del CERN”.

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Nato da un lavoro di ricerca di quattro anni – insieme al collettivo ZimmerFrei Almost

nothing è un corpo cinematografico ancora vivo, un viaggio incompiuto che si contrae e si accelera come le particelle, come se fosse una porta sempre aperta che permette di affacciarsi ma senza sapere se riusciremo ad arrivare alla stanza successiva. Seguendo il percorso umano degli scienziati, che vivono in una sorta di dimensione sospesa, in costante attesa di una scoperta che forse nemmeno riusciranno a vedere materializzata, la regista prende anche la musicalità delle macchine e degli spazi del centro, come parte di un grande tessuto entropico che segue il flusso dell’umanità. Il movimento coreografico e costante di fili, cavi, pezzi e parti metalliche – che viaggiano nel tempo e a volte sembrano parte del futuro, altre di un film distopico e altre scavi quasi archeologici – si confronta con l’immagine ferma di un volto umano che chiude gli occhi e la mente un attimo, soltanto per prendere aria e rendersi conto del suo presente, della sua fragilità.

Più che la replica di un modello di società utopica, oppure la morte di una utopia, Almost Nothing è soprattutto un documento sulla consapevolezza del fatto che c’è qualcosa che ci sfugge, sulla concezione del tempo come un ente estraneo e organico che segue il proprio ritmo, sulle idee che si perdono nel flusso quotidiano e rischiano sempre di morire prematuramente. Alla fine, il CERN è un luogo fatto di contrasti, di scoperte e frustrazioni, di luce e buio, di movimenti meccanici ed emozioni umane. Un posto che al di là di tutto sempre va avanti, come il documentario, verso una nuova idea di cinema, di mondo, di futuro.

Dopo la proiezione del film, e davanti a un pubblico entusiasta, la regista racconta la sua avventura, un percorso più lento di quello che aveva immaginato ma anche pieno di soddisfazioni e scoperte: “Il CERN è un posto molto aperto, ha una politica di grande facilitazione, se un visitatore vuole andare e vedere per esempio ATLAS,  la risposta è sempre sì. Ma magari ci vai due anni dopo. Sono molto disponibili pure a parlare con la stampa, con altri ricercatori, insegnanti, studenti, pero sono programmati. Ti danno per esempio 7 minuti per un’intervista, ed è quello che avrai“. Decidere quale fosse l’approccio giusto è stata anche una sfida dentro il collettivo: fino a che punto bisogna avere un atteggiamento critico, interrogare, cercare delle contraddizioni nel fenomeno che si sta osservando?Io ho pensato: ma che contraddizioni possiamo trovare, se capiamo appena quello che sta succedendo! Potremmo perfettamente dire di voler investire su un’altra cosa, non sulle particelle ma sulla nanotecnologia, sulla genetica. Ma comunque è importante, dal punto di vista del valore di ricerca pura il CERN ha provato a dare tantissimo alla comunità, alla società“.

Alla fine, si tratta di non perdere mai di vista l’incontro umano, come punto massimo di effervescenza e anche come luogo definitivo di creazione. “Al CERN ci sono tante attività, corsi di tango, arti marziali, yoga, radioamatori, che non sono semplicemente degli hobby ma un investimento in creatività, un punto d’incontro tra persone che si occupano di cose diverse che si ritrovano fuori luogo, che magari suonano rock n roll assieme, da queste situazioni sono uscite delle cose pazzesche, per esempio il touch screen”. 

Al di là delle applicazioni, i touch screen e le particelle elementari, quali restano le urgenze mondiali? L’ambiente, il riscaldamento globale, l’esaurimento delle risorse? Non dovrebbe un centro di ricerca mondiale occuparsi anche di questo? Anna ha una risposta già pronta: “Gli scienziati non rispondono a queste domande, come il cinema non risponde neanche a queste cose, ma ci porta ad interrogarcene. Però diciamo che come comunità s’interrogano su queste cose. Ma la fisica sperimentale non può occuparsi del riscaldamento globale, dello scioglimento dei poli, perché s’occupa d’altro di cui nessuno si occuperebbe. Bisogna rispettare gli ambiti. Loro sono arrivati a concepire un qualcosa al di là della dimensione umana, qualcosa di essenziale, questo mi sembra che faccia parte della questione e che valga la pena.” 

 

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