PESARO 2002: Cinema in Spagna, oggi

Il cinema spagnolo degli anni '90 ha estirpato con forza le radici che lo tenevano abbarbicato alle rocce in pericoloso strapiombo sul postfranchismo. Il realismo critico dei registi del Nuevo Cine Español è scomparso. Il cinema spagnolo di oggi è apolide

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Quando una manifestazione si conclude, quando un festival chiude i battenti, si ritorna in quel di casa sempre con un po’ di malinconia. Un “piccolo” festival come può essere quello pesarese, ti lascia dentro il gusto di una convivialità che manifestazioni freddamente glamour non riescono a fare. Un festival del cinema è come un microcosmo, con le sue lingue, le sue abitudini, i suoi sguardi sul mondo che lo circonda, le sue genti, la sua storia. La storia del festival di Pesaro è lunga 37 anni. Negli anni Sessanta e Settanta ha direzionato il suo occhio sulle sperimentazioni legate alle Nouvelles Vagues: dalle nuove cinematografie europee alle rassegne sul cinema nộvo e quello cubano, a quello giapponese. Ha fatto conoscere in anteprima le opere di Nagisa Hoshima, Glauber Rocha, Raul Ruiz e ha ospitato dibattiti cui hanno partecipato Roland Barthes, Cristian Metz, Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco, non tralasciando negli ultimi anni le cinematografie emergenti: Cina, Taiwan, Hong Kong, Iran e il cinema europeo del métissage. La manifestazione pesarese dunque è stata sempre sulla cresta di un’Onda che ha cavalcato le cinematografie nel momento in cui la loro parabola era al massimo dell’ampiezza, trascurando spesso il più facile lavoro di retrospezione, lasciando ad altri eventi il compito di seguire il flutto cinematografico nel momento morente di quella che gli spagnoli chiamano resacca (risacca).

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE UNA SERIE TV DALL’8 MAGGIO

--------------------------------------------------------------
E’ proprio in questa 38a edizione infatti, che il nuovo cinema spagnolo ha trovato finalmente uno schermo dove proiettare la sua lingua, i suoi colori e la sua vitalità deflagrante. Questo cinema, quello degli anni Novanta sino ad oggi, è un cinema che ha estirpato con forza le radici che lo tenevano abbarbicato alle rocce in pericoloso strapiombo sul postfranchismo. Il realismo critico che connotava in grande percentuale i registi del Nuevo Cine Español è nel cinema degli anni Novanta scomparso. Nessun manifesto estetico da affiggere, nessuna programmazione teorica comune, né tanto meno alcun precetto estetico da rivendicare. Non un’etichetta collettiva. Il cinema spagnolo di oggi è apolide, orfano di referenti cinematografici perché, liberatosi della zavorra franchista, si è levato scorgendo all’orizzonte il sorgere della postmodernità. A questo proposito Angel Quintana si esprime dicendo che “L’ossessione per l’immagine ha sostituito qualsiasi ossessione per la realtà”, insomma, i barlumi del postmoderno hanno illuminato anche la pellicola spagnola sovresponendola a se stessa, suggerendole una riflessione più sulle immagini che sulla realtà sociale. Nella spanna che divide questa generazione di registi da quella precedente taluni detrattori hanno denunciato, a nostro parere con scarsa oculatezza estetica (alcuni alla Mostra di Pesaro hanno addirittura promulgato il desiderio di istituire un nuovo manifesto del cinema, mostrando così tutto lo splendore del loro vecchiume critico e ideologico), una crescita di deresponsabilizzazione storico-politica, mentre altri, non rinnegando la ricerca formale attuata nell’ultimo decennio, vedono in questa cesura l’embrione di un cinema che si apre finalmente e definitivamente al resto del mondo, sia nella forma, sia nei contenuti. Il loro cinema, e stanno qui il senso e il segno più forti, si è trasformato nella loro realtà, che non sta né nella destra spagnola, né nel rimpianto di una sinistra che non c’è più ma, se mai, come ha detto Carlos F. Heredero, negli “sguardi del presente sul presente interiorizzato. I loro film riflettono la realtà sociale e politica in cui nascono con una considerevole distanza obliqua. In questi film, la riflessione sul dominio del sociale o sulle questioni di attualità, l’approccio diretto, immediato o con espressa volontà di testimoniare sul contesto culturale o politico, sono premesse e strategie che si trovano in secondo piano”. Questa frase di Heredero oltre a sottolineare ciò che sopra abbiamo segnalato, giunge però a contaminare il carattere affettuoso con il quale abbiamo ricamato sin qui le gesta del festival pesarese. Diciamo questo perché la netta impressione (confermata poi in separata sede anche da un critico spagnolo) che abbiamo avuto alla visione della ventina di pellicole spagnole, è stata quella di un festival che ha voluto rendere omaggio a un cinema che sta tirando le cuoia nel suo farsi, tanto quanto potrebbe farlo un cinema postrealista, tanto come potrebbe farlo un cinema postfranchista, quanto lo sono sembrati i film scelti dalla mostra. Sì poiché pensiamo che un’intera corrente cinematografica denominata “postfranchista”, sia legata ancora e irrimediabilmente al franchismo quanto il cinema “postmoderno” è vincolato, con una soluzione di continuità, al moderno. E il vero cinema in Spagna oggi non è così, non gode sicuramente di “un’estetica post Franco”. Dunque troviamo che il lemma “postfranchista” si debba usare univocamente per datare anagraficamente la nascita di un cambiamento, e non certo per coadiuvare ideologicamente un cinema di denuncia dei brutti tempi andati, perché, come Heredero ad altri hanno detto, ai registi di oggi non può interessare di meno. Ma sembra che il comitato scientifico del festival marchigiano sia sorvolato su questo fondamentale assunto, privilegiando invero, pellicole dal più o meno chiaro intento politicizzante. Sia ben inteso, questa non è certo una pratica illegittima, anzi, ben venga, d’altronde la Mostra del Cinema di Pesaro non ha mai nascosto la sua “militanza” , ma quando questa direzionalità va a discapito di un intero immaginario cinematografico, in questo caso spagnolo, la cosa si fa un po’ più delicata. Perché quello che la manifestazione doveva fare, dato che la sua dicitura è “Il cinema in Spagna oggi”, era quello di proiettare film che restituissero un paradigma obiettivo e limpido della cinematografia spagnola, mentre a noi quelle pellicole sono sembrate proprio una “sporca ventina” su quello che oggi non rappresenta il cinema iberico. A confermare questa impressione è stato il critico José Enrique Monterde segnalando che della totalità dei film proiettati, solo 3 o 4 hanno tratteggiato doverosamente il loro cinema. Speriamo di non sbagliarci perché al contrario dovremmo metterci le mani nei capelli. Non vogliamo credere infatti che quello che abbiamo visto sia un centrato esempio di cinema spagnolo oggi, fosse così, si salverebbero (alla grande) solo due cineasti antipodali come Julio Medem e Marc Recha, il resto è solamente cinema estenuamente iperclassico, senza una sola scheggia riflessiva su quella che è la (post)modernità, senza uno straccio di imprinting contemporaneo.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array