PESARO 43 – Omaggio a Zulueta

arrebatoRiflettori puntati sul regista basco Ivan Zulueta, considerato uno dei maggiori esponenti del cinema underground spagnolo. La retrospettiva a lui dedicata ha offerto la completa filmografia ed un documentario dal titolo Ivan Z.del venezuelano Andrés Duque. Grande attesa – in parte delusa –  per il film maledetto Arrebato.
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arrebatoRiflettori puntati sul regista basco Ivan Zulueta, considerato uno dei maggiori esponenti del cinema underground spagnolo. La retrospettiva a lui dedicata ha offerto la completa filmografia ed un documentario dal titolo Ivan Z. del venezuelano Andrés Duque . Ivan Z. è una lunga intervista che Duque ha fatto a Zulueta nella sua villa di famiglia, ne è uscita una sorta di confessione del regista che da molti anni, a causa di gravi problemi di droga, si è auto recluso dal mondo e dalla vita. Zulueta dipinge, disegna (ricordiamo che è un grandissimo disegnatore di locandine cinematografiche), usa la telecamera, chiari segni che la sua voglia di arte è tutt’altro che spenta, ma è arte che rifiuta il confronto con il pubblico, che si nasconde e si auto fagocita non trovando dei canali per indirizzare la propria potenza creativa. 
Arrebato era uno dei film più attesi dell’intero festival, descritta come l’opera maledetta “per antonomasia” del cinema spagnolo. José Sirgado (Eusebio Porcela), è un tossicomane regista underground in crisi creativa passato a dirigere filmacci dell’orrore di serie B, la sua vita cambia radicalmente quando incontra Pedro P. (Will More), semidemente ragazzo con la passione di girare filmini in Super 8 e alla continua ricerca dell’essenza stessa del cinema. Il film di Zulueta a vederlo oggi pare datato, l’esaltazione che ne è stata data risulta francamente esagerata. Il regista spagnolo mette in scena un cinema dal chiaro aspetto concettualoide, dove la principale preoccupazione è la spasmodica ricerca di frammentazione delle immagini e l’annullamento di qualsiasi logica spazio-temporale (il film si “nutre” letteralmente di analessi). Ma frammentare immagini e annullare il tempo in questo caso privano il lungometraggio di linfa (cinematografica) vitale rendendolo statico e povero di forma. Zulueta sembra poi evidenziare la sua ossessione per la droga (qui l’eroina è mero pretesto per una dipendenza più “totale”) e per il cinema, entrambi capaci di portare alla dissoluzione assoluta (il finale con la telecamera che divora il protagonista) ed in un certo senso anticipa alcuni film futuri quali The Addiction di Ferrara e Cigarette Burns di Carpenter, anche se privo, rispetto a questi, di quel magnetismo morale capace di insinuare nello spettatore più di un interrogativo sul significato di cinema, dipendenza e morte.
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