Pesaro 45 – "Voglio essere considerato un uomo qualunque" – Incontro con Paolo Gioli

Una ricca retrospettiva del cinema di Paolo Gioli, curata da Giacomo Daniele Fragapane, è stato uno degli appuntamenti più importanti della 45sima edizione del Festival di Pesaro. Cineasta appartato e “originario” che fa del cinema un’esperienza vitale legata alla quotidianità nella quale ricerca l’ispirazione e la materia per il suo lavoro, che diventa duttile sostanza sotto il suo occhio.  

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filmarilynL'offerta proposta dal Festival di Pesaro dell'ampia retrospettiva dedicata al cinema di Paolo Gioli, diventa occasione preziosa e non consueta per riflettere sul lavoro di questo autore appartato e sensibile, per guardare il suo cinema "originario" che affonda la propria essenza nella ricerca ossessiva e determinata delle possibilità dell'immagine, della possibile scoperta di uno sguardo che sia autenticamente differente. Paolo Gioli, veneto e cresciuto negli anni della vivacità culturale alimentata anche dall'underground italiano, è un autore che raccoglie le suggestioni del quotidiano, nella vibrante vitalità che riesce a percepire e nella profonda capacità intellettuale di generare simbiosi e archetipiche forme cinematografiche che riesce a fare proprie. Il festival di Pesaro gli ha dedicato quattro appuntamenti curati da Giacomo Daniele Fragapane e un convegno di chiusura per fare un punto sul suo cinema.

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Lo abbiamo incontrato per tentare di comprendere le istanze che lo muovono. La curiosità per questo filmaker ha guidato anche le parole e le riflessioni che sono nate dall'incontro.

Cosa consiglierebbe ad un giovane che vuole accostarsi al suo cinema?

Non ci sono ventenni appassionati del mio cinema. Sono solo immersi nella sbornia digitale che produce delle novità che passanoanimatografo presto di moda. I giovani oggi sono confusi e spaesati anche dalle mode della fotografia ritoccata dal photoshop. Nella meccanica, quella che io utilizzo, non disgiunta dall'elettronica, non è possibile barare. Io vengo dalla pittura e dalla fotografia, poi è arrivato il cinema. Quando ho visto le prime cose del cinema ho capito che rischiavo di trascurare quelle avanguardie storiche, la tedesca e la francese in Europa. Rischiavo di trascurare un personaggio come Hans Richter. Ho cominciato a guardare i film e ho avuto la conferma che potevo continuare a dipingere e che questa mia attività poteva essere affiancata dal lavoro che potevo realizzare con la cinepresa. Ho lavorato affinché le cose che realizzavo con la macchina da presa potessero raggiungere lo stesso livello della mia pittura. Per fare questo ho guardato più materiali possibile. Erano gli inizi degli anni '60 e ricordo di avere scambiato un mio quadro con una cinepresa. Ho avuto poi il coraggio di fare vedere il mio primo film nel 1969.

Che rapporto ha con la rete, con i film che si immettono, con le possibilità che offre?

Non seguo, non sono molto interessato. Ho un mio sito dove è possibile vedere alcune cose mie fotografie e altro. Credo che con la pellicola ci sia ancora molto da fare. La pellicola, rispetto al digitale, offre delle possibilità straordinarie. Un esempio, parliamo della dissolvenza incrociata. C'è una differenza tra la dissolvenza incrociata cinematografica e quella digitale. La prima può solo farsi successivamente nel momento dell'editing, ma con una piattezza evidente, in quella cinematografica, invece, si ha l'impressione che l'immagine vada lentamente in consunzione, si chiuda e si consumi, imploda ma che resti fino alla fine una traccia che inesorabilmente si sopprimerà da sola. Questo fa comprendere molte cose, permette anche di affermare che il digitale puoi utilizzarlo come una matita il cui tratto puoi cancellare con una gomma. Sulla pellicola, qualsiasi cosa tu abbia fatto resta la impressionata per sempre. Questo ti spinge ad una grande concentrazione, ti spinge a non sbagliare o comunque a sbagliare il meno possibile e comunque se ha realizzato una schifezza resta quello impressionato sulla pellicola. Non puoi tornare indietro. La pellicola è sempre una sfida. Lo dice uno che non ha mai abbastanza pellicola per girare i suoi film. Nel mio lavoro, però, non prescindo ma dall'elettronica. Ho sempre creduto che meccanica ed elettronica debbano essere sempre vicine, ciò che non puoi fare con l'una devi poterlo fare con l'altra. Oggi tutto questo sembra essere perduto, ad esempio nel periodo del formalismo russo si secondo_il_mio_occhio_di_vetrofaceva molto uso della dissolvenza incrociata, tanto per tornare a quanto dicevo prima, oggi molti irridono a quei film, o comunque non li considerano nel loro valore. E' un vero peccato, è una vergogna. Mi ricordo di una persona che entrò in una sala dove si proiettava uno di questi film russi e disse "tutti comunisti", ma quali comunisti stavamo vendendo dei film!

Secondo lei questa situazione è irreversibile?

Non credo, non voglio crederlo, in ogni caso anche dietro questi fenomeni c'è un motivo politico e i cicli della storia mutano anche questi aspetti della cultura. Ma non so quanto ho da vivere e non so se riuscirò a vedere i cambiamenti. In realtà esiste un basso livello di professionalità che spinge alcuni, critici compresi, a non sapere bene distinguere le cose. Qualcuno mi accusò di non essere in grado di girare nemmeno un controcampo, non sapeva che ero e sono in grado di montare e rimontare una scena. Dopo qualche anno mi chiese scusa. Quanti oggi ricordano le lezioni dei maestri? Io rifuggo dalle religioni, ma apprezzo un autore come Bresson che era religiosissimo. Voglio ricordare una delle prime sequenze di Pickpocket quando l'inquadratura è stretta sulle due dita che stanno per entrare nella tasca per prendere il portafoglio del malcapitato, lentamente risale da sotto l'inquadratura un'altra mano che avvolge quella del ladro e poi si sente il clack delle manette. Pensi a cosa avrebbe fatto un cineasta americano per girare questa scena, inseguimenti e sparatorie. Eppure, nonostante che la memoria sembra essersi perduta, la lezione del cinema di questi autori è utilizzata a piene mani. Coppola, in Un sogno lungo un giorno, se non sbaglio, utilizza la ragazza nel bicchiere mutuando da Vertov, ma è solo un esempio. Purtroppo l'avere dimenticato quel cinema è frutto di un appiattimento culturale, di un'ignoranza che ormai ha preso piede.  

 

Qual è il suo metodo di lavoro?

In realtà non lavoro ad un solo film, ma sono molti i lavori che realizzo in contemporanea. Giro una scena con quindici o venti metri di pellicola e vado allo sviluppo e lo faccio ancora come lo faceva Lumiere anche in questo senso il mio è protocinema. Guardo il risultato e dopo giro altrettanti metri di pellicola. Ma, ripeto, non soltanto ad un film per cui magari uno cresce e l’altro ancora è fermo, ma poi verrà anche il suo turno. La pellicola, lo dicevo prima, non è come il nastro che puoi cancellare per cui devi lavorare con molta attenzione e d’altra parte hai bisogno anche di sapere cosa vuoi esattamente fare, perché la pellicola ti dà il senso della fine. Io mi sento un filmaker che lavora con il carboncino, ma so anche che esistono cento modi differenti per dire quello che vuoi esprimere.

Nel mio lavoro tengo molto all’origine delle cose. Ogni cosa per me ha un’origine, io voglio risalire a quell’origine. Guardando e riguardando le cose trovi l’origine. In ogni disciplina c’è l’origine che cerchi e l’origine ha la funzione evocativa. Anche in botanica o in anatomia, per esempio sono affascinato dalle parti anatomiche. Non voglio che ciò sia scambiato per eclettismo, io credo che appartenga alla magia perché a forza di guardare affiora quello ha senso. Forse per questa ragione credo che il mio cinema richieda molta attenzione da parte del pubblico e poi credo che ci sia  la necessità di una didattica preventiva per accostarsi al mio lavoro.

 

Come decide di realizzare un film piuttosto che un altro?traumatografo

Di solito esco con la cinepresa e non so cosa farò, cosa potrò riprendere. Poi, non so, mi avvio lungo una strada e insisto a camminare su questa strada che è dritta e mi chiedo perché non riprendere questa strada così dritta. Poi comincio a vedere i cambiamenti architettonici della strada e poi ancora comincio a guardare i portici e le automobili e così che nasce un mio film.

 

Lei, nell’incontro in sala, prima della proiezione di una parte dei suoi film, ha parlato della componente narrativa nelle sue opere. Dove si può ricercare quest’elemento che, invece, potrebbe sembrare assente?

è vero la narratività nei miei film esiste, ma non è quella convenzionale. La narratività è nel flusso delle immagini che si modifica. Le immagini verso la fine si accelerano e i fotogrammi arrivano come consunti all’occhio dello spettatore. La narratività va ricercata nei lampi stroboscopici. Anche i pionieri del cinema utilizzavano questi stessi elementi ed erano arrivati a fare delle ottime cose, delle riprese buone. Magari non riuscivano a proiettarle bene, ma era bellissimo vedere la vita che si muoveva dentro quelle immagini. È come vedere un bambino che impara  a camminare. Ma queste riflessioni non sono comuni e a volte penso di essere solo e di non avere nessuno con cui confrontarmi, ma forse è anche per questa ragione che non voglio diventare un professionista del cinema. D’altra parte mi piace l’anonimato perché mi permette di trafugare le cose che mi servono, non voglio essere classificato. Voglio essere considerato un uomo qualunque.

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