PESARO 46 – "Hiroshima", di Pablo Stoll (Bande a part)

Hiroshima Pablo Stoll Pesaro 46Hiroshima dell’uruguiano Pablo Stoll trasmette quel sapore da quotidiano incubo, da cui non vi è risveglio, vissuto dal suo protagonista durante le peregrinazioni della sua inutile giornata. L’abilità nel raccontare questa terra di mezzo da quotidiano incubo, viene trattenuta da una “febbre” da esordio che spinge l’autore ad utilizzare fastidiose sovrastrutture narrative.

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Hiroshima Pablo Stoll Pesaro 46La piazza di Pesaro si anima di nuovo dopo le intemperie che hanno forzatamente interrotto la tradizione delle proiezioni in piazza. È il film del trentaseienne uruguaiano Pablo Stoll, Hiroshima della sezione Bande a part a riaprire i battenti delle proiezioni serali.

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Un’intera giornata del protagonista, seguito con dichiarato pedinamento dalla macchina da presa dal mattino presto quando lascia il panificio in cui lavora e fino a notte, quando, con il fratello e altri amici si esibisce con la rock band di cui fa parte.

L’incipit è un’esplicita dichiarazione di intenti: un lunghissimo piano sequenza con la macchina da presa alle spalle del protagonista che con un lungo e lento cammino raggiunge la propria abitazione dopo il lavoro. Durante il resto della giornata Juan vive la sua vita con tiepido distacco dal mondo che lo circonda e dalle persone che gli sono vicine. La sottolineatura di questa distanza che Juan coltiva è affidata all’espediente narrativo che più colpisce nel film, l’assoluta assenza della parola. L’autore affida i dialoghi ai cartelli che fanno da siparietto in mezzo alle rare conversazioni tra i personaggi. La trovata, come ogni strumento che non sia connaturato alla materia del racconto, ma costituisca una soluzione sovrastrutturale, incuriosisce all’inizio, diventa usuale dopo con l’inevitabile sensazione di fastidiosa stucchevolezza nel prosieguo. L’abolizione della parola serve ad esaltare i rumori che accompagnano il sonnambulico vagare di Juan. Un personaggio che, per esplicita dichiarazione del regista e scrittore della sceneggiatura, è apertamente ispirato proprio allo stesso fratello che è anche il protagonista del film. È senz’altro l’atmosfera che si respira nel film, sospesa tra sogno e realtà, che conferisce ai trascurabili episodi della giornata di Juan quel sapore da quotidiano incubo da cui non vi è risveglio che, invece, è l’elemento più apprezzabile del risultato raggiunto da Stoll che aveva positivamente impressionato con il suo precedente Whisky. Juan, durante la sua (inutile) giornata è protagonista di fatti assolutamente trascurabili come il riordinare casa, giocare una parte di una infinita partita di calcetto dall’improbabile risultato di 167 a 165, governare il barbecue del fratello dove dal mattino alla sera si deve arrostire il pollo e così proseguendo. Una dilatazione temporale che non ha nulla di reale e che appartiene alla dimensione del sogno. Juan vive, con la consapevolezza del predestinanto, in quella terra di mezzo dove la sua vita non è ancora sogno e non è ancora divenuta realtà. È senza dubbio proprio questo il risultato più apprezzabile del film che riesce a trovare la propria migliore dimensione quando Stoll limita la propria invenzione di espedienti narrativi per lasciare spazio al trasognato vagare del suo protagonista. Un’operazione che forse soffre di una certa “febbre” da esordio, una certa “necessità” di stare dentro la tradizione narrativa, tutta sudamericana, che ha intaccato largamente anche il cinema, del realismo magico, fatto sta che Hiroshima avrebbe consegnato un migliore risultato giocando le sue carte proprio sull’idea narrativa e sulla capacità interpretativa, sicuramente “autobiografica”, del suo protagonista.

 

 

 

 

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