PESARO 50 + 1 – Il diario della giornata (1)

Uno stimolante incontro sul ruolo dei festival, un film argentino sull’interpretazione della vita e un film russo sul dramma dell’adulterio segnano un’altra giornata del festival di Pesaro.

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Tavvola rotonda, Pescheria

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I rapporti di forza tra le parti e i temi, sempre attuali per la costruzione, o meglio, per una ricostruzione di quel sentimento che si è spezzato, negli anni, tra la proposizione di un cinema che è quanto meno autoriale e i voleri di un pubblico, i cui desideri e approcci sono molto mutati in questi ultimi anni, ha tenuto banco e le menti occupate durante la prima mattinata dedicata al cinema parlato di questo nuovo corso del festival marchigiano.
I luminosi locali della Pescheria pesarese, si sono affollati, per la gran parte, di un pubblico di addetti ai lavori, il che purtroppo la dice lunga sull’appeal di queste riflessioni nel cui linguaggio gergale si ritrova il limite ma, perchè no, anche il piacere di queste occasioni. Molte le cose giuste dette e una per tutte, adatta alla riflessione in atto, è che si è stanchi di quella marginalità culturale che non diventa centro. Sotto altro aspetto il tema che più cattura l’interesse è quello legato al difficile rapporto con il pubblico. È sempre più complicato gestire lo scambio di informazioni e proporre l’offerta di visioni differenti da quelli consueti pur con il moltiplicarsi delle occasioni della visione del cinema. Non sempre, infatti, la moltiplicazione dei canali di fruizione corrisponde ad una ricerca di quel nuovo cinema di cui Pesaro, giustamente, si fa vanto e di quelle nuove immagini che non siano mera riproposizione di un vecchio modo di affrontare lo spazio bianco dello schermo. La riflessione proseguirà con un’attenzione ai temi della critica e si proverà a darne sintetico resoconto.
Pesaro, quest’anno, come annunciato ha previsto un focus sul

La mujer de los perros, Veronica Llinàs

La mujer de los perros, Veronica Llinàs

cinema del regista e artista turco Tayfun Pirselimoğlu la cui poliedrica figura di artista riteniamo meriti una più meditata riflessione, vista anche la particolare qualità del suo cinema e della sua scrittura. La sua prima affermazione in Italia è proprio legata alla sceneggiatura I’m not him per cui è stato premiato al Festival di Roma nel 2013. I primi tre film visti in questi giorni si aggiungeranno a quelli in programma e si tenterà una sintesi della poetica del regista e scrittore.
È il cinema argentino, con un film che se non è tutto al femminile poco ci manca, a spiccare come qualità in questa giornata. Laura Citarella e Veronica Llinàs ne firmano la regia, la seconda lo interpreta con grazia e stupefacente adesione al personaggio, la prima lo produce con Mariano Llinàs. Il titolo del film è La mujer de los perros. Le quattro stagioni scandiscono il tempo meteorologico di uno scenario che fa presagire, dopo i margini assoluti della metropoli, l’immensità di un territorio come quello argentino. La donna vive con un branco di cani e la sua vita non sembra soffrire della solitudine, quanto piuttosto, dell’incertezza davanti allo scatenarsi degli eventi naturali avversi, la pioggia, il vento, la malattia. La sua interazione con la vita cittadina è minima e la sua esistenza si adatta ad una consolidata e, sembra, irrinunciabile marginalità. Il film delle due registe non è un racconto sulla durezza vera o presunta di una esistenza da “barbona”, non è neppure un apologo ecologico, è, piuttosto, un modo serio, efficace e (per l’appunto) nuovo di concepire l’interpretazione della vita. È uno dei pochi film che concentra la propria attenzione su questo tema apparentemente così scontato nei suoi contenuti e nel suo stesso senso, da restare trascurato, se non dimenticato. Lo sguardo femminile delle due registe lo mette al centro con un acume insolito e certamente originale. La vita della donna – nel film non ha nome – non è un’esistenza misera, se si esclude il tema del denaro, e si comprende bene che quella sua sia una scelta. In questo senso l’interpretazione della vita nel suo personaggio è straordinariamente piena, il suo appagamento nel modulare il tempo e nell’adattarsi alle stagioni è quasi invidiabile. Il tema della ricerca di se stessi non appartiene alla protagonista, la sua ricerca sembra essersi conclusa con la scelta. Nè, d’altra parte vale parlare di realizzazione dei propri desideri e delle proprie aspirazioni, quelle sono categorie che appartengono ad un’altra interpretazione dell’esistenza e certamente estranee a quelle contemplate dalla donna dei cani. in altreparole un film che prova aguardare le cose da un altro punto di vista, che offre, una volta tanto uno sguardo opposto a quello dominante, non un racconto morale, ma una piccola morale sulla vita senza la presunzione di volersene fare vanto. Un film teso e coerente, anche nella scelta della scansione temporale dell’arco narrativo, dove superato egregiamente il tema del bucolico desiderio di pace, tutto il resto diventa materia viva della vita e nel quale il cinema può trovare nuova linfa per la propria futura interpretazione.

Do svidanija, mama

Do svidanija, mama

Il cinema in piazza ha offerto la visione di Do svidanija, mama (Arrivederci mamma) di Svetlana Proskurina. Altro sguardo femminile dopo quello del film argentino. Ma così depurato da ogni sovrastruttura sentimentale quello argentino e così ingabbiato dentro i legami sentimentali questo. Un dramma familiare in cui la passione adultera della donna supera l’amore materno e la fedeltà al marito. Un film che pretende forse toppo da se stesso, un cinema che prova ad evocare una perfezione del racconto nella ricerca estetica delle sue immagini.

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