#Pesaro55 – In direzione ostinata e contraria

È l’ora dei consuntivi ed è l’ora di ragionare, ma davvero con attenzione, sul valore di un Festival come quello di Pesaro.

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È l’ora dei consuntivi ed è l’ora di ragionare, ma davvero con attenzione, sul valore di un Festival come quello di Pesaro. Lo sappiamo che non tutto va bene a Pesaro e questo lo sa per primo Pedro Armocida che con paziente volontà di proseguire una solida tradizione, con l’amorevole attenzione di Bruno Torri e Adriano Aprà, dirige ormai da anni il festival. Ma in quale festival tutte le cose vanno bene? Anzi in verità a Pesaro, molte cose vanno molto meglio che altrove, non fosse altro che per l’atmosfera che si respira e il clima davvero tranquillo e quasi familiare, ma sicuramente amichevole, che lega i partecipanti. Non sempre questo accade e per diverse e svariate ragioni. Ma qui accade e pensiamo sia un bel risultato.
L’altra cosa che va bene è che non solo si vede, ma si parla anche di cinema. Ma non quella cosa staccata dalla realtà che a volte è il “parlare di cinema”, oppure quell’altra cosa, perfino banale, nel quale tutti siamo intrappolati, del tipo: “cosa ne pensi dell’ultimo film di ….”, a Pesaro si prova a parlare di quel cinema che si fa materia vivente che continua a macinare dentro anche dopo giorni o mesi da che ne ce ne siamo solo temporalmente lontani. Di esempi ce ne sono molti, anche quest’anno, uno è stato l’incontro con il gruppo di Fuori orario, Enrico Ghezzi in testa. In quella mattinata i protagonisti hanno raccontato le ragioni della loro esistenza e l’unicità, forse al mondo, della loro esperienza di ricercatori e programmatori di un cinema assolutamente invisibile, ma capace di ribaltare, con una visione assidua e partecipata, il concetto stesso del guardare il cinema, i film e modificare per sempre la stessa consistenza e il significato di “autoriale”. Lo abbiamo vissuto nell’esperienza del cinema di Claudio Caldini, così apparentemente freddo nella sua genesi teorica e così caldo, invece, nella sua percezione finale. Un’esperienza visiva intensa, vivificata da una luce che restituisce l’eleganza della sua composizione, rivelando, con il poco dei mezzi, l’enorme potenziale dell’immagine. Lo abbiamo ancora una volta vissuto nelle visioni

pomeridiane del cinema femminista che come ricordava lo stesso Roberto Turigliatto durante l’incontro con Fuori orario, lui che del programma è parte essenziale, è diventato un luogo in cui vedere ancora i video degli anni ’70 o il 16 mm di vecchia memoria e si chiedeva: in quale altro luogo, se non Pesaro, questo è possibile? Lo abbiamo sentito nelle sperimentazioni di Satellite, la sezione che offre un orizzonte ad una piccola, ma sempre nuova, galassia di giovani filmmaker, l’opportunità di ottenere uno schermo e un pubblico non è cosa da poco, ancora nell’era digitale e in quella della rete onnisciente e onnipresente. Lo abbiamo ancora una volta avvertito nel cinema, apparentemente girato con la mano sinistra, di Lee Ann Schmitt, lei, originaria della fredda Chicago che si fa portatrice di un’anima malinconica di quell’America sommersa, dimenticata con le sue immagini che si rassegnano a consegnare allo spettatore un volto, se è ancora possibile (ma lo è!), del tutto insolito del territorio americano, estraneo a qualsiasi cinema, ma con dentro tutto il passato che ci è stato raccontato. Un cinema, quello di Lee Ann Schmitt, che porta in sé i tratti malinconici di una narrazione che degli Stati Uniti hanno fatto alcuni grandi di quella letteratura e che forse, perfino inconsapevolmente, si sono depositate nelle immagini dei suoi film.
Tutto questo è quello che a Pesaro è andato bene e non è assolutamente poco e se ancora ci ripetiamo le parole di Pasolini per il quale Pesaro è un luogo dello spirito, qualcosa di vero c’è. Conservare questa idea di cinema, oggi, ci sembra il passaggio principale, preservare un luogo in cui il racconto del cinema non si esaurisce entro i brevi tempi del volgere del festival, ci sembra una bella possibilità. Fare vedere queste immagini, non artificialmente saturate dai molteplici significati, ma anticamente nate nude e mostrate nella loro specifica essenza e lì rivestite di quei contenuti che le hanno prodotte, è anche una finalità del cinema che riafferma quella visione del mondo secondo Vladimir Majakovskij.
Questo è stato Pesaro e questo speriamo sia ancora in futuro in questo mare difficile nella direzione ostinata e contraria che vogliamo condividere.

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