#PesaroFF53 – L’attore nel cinema italiano. Incontro con Jasmine Trinca

Nell’ambito della riflessione sul mestiere dell’attore nel cinema italiano, l’attrice di Fortunata ha raccontato dei suoi esordi e dei suoi successi

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E’ già da qualche anno che la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro collega la sua selezione alla pubblicazione editoriale di un volume che si interroghi su un tema contemporaneo al nostro cinema. Quest’anno si è scelto di analizzare la figura dell’attore italiano da un punto di vista storico e performativo in una riflessione a cura di Pedro Armocida e Andrea Minuz confluita in L’attore nel cinema italiano contemporaneo edito per Marsilio. In questa raccolta di saggi si aggiunge ad un interesse prettamente didattico ed universitario, uno critico e di chi vive il cinema dalla parte dei mestieranti. Se quindi da una parte sono presenti interventi di studiosi e professori, dall’altra c’è la testimonianza di chi al cinema si approccia a livello produttivo ed artistico. “Il teatro è dell’attore, il cinema del regista. Questo è quello che si dice tra le aule universitarie” esordisce Andrea Minuz, docente dell’Università della Sapienza di Roma, sottolineando quanto sia mancante nell’analisi critica cinematografica la componente attoriale, relegata unicamente allo sguardo di un regista. Si nota infatti che nel nostro paese non è presente uno star system in grado di influenzare, sia economicamente che artisticamente, le scelte produttive, al massimo sussiste un reverence system che detta l’intervento o meno di un finanziamento statale.

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All’interno di questo dibattito è risultato quindi ancor più interessante l’intervento di Jasmine Trinca, unica rappresentante del mestiere dell’attore, che ha parlato della sua carriera e di cosa significa oggi in Italia mettersi in gioco con un lavoro così poco strutturato. “Non ho una consapevolezza di me così forte e granitica da capire sempre perché faccio qualcosa” ha esordito l’attrice “Ho capito che in questo mestiere siamo tutti governati da fragilità ed insicurezze. Questo è giustificato dal fatto che viviamo sempre in uno stato di attesa. Quindi non parto mai dal pensare che un ruolo che scelgo sia giusto o sbagliato anche se infondo capisco se una cosa è migliore di un’altra. Anche nel parlare di questo però credo che ci sia sempre una mancanza perché non si pensa mai che noi ci dobbiamo mettere sempre noi stessi in quello che facciamo. Quanti sarebbero disposti a mostrarsi sempre per quelli che sono? Noi attori dobbiamo mostrare sempre la parte migliore di noi. Ho veramente capito questa cosa guardando i giovani che dovrebbero essere quelli più naturali, liberi ed incoscienti ed invece si intuisce che già pensano all’immagine migliore che possono restituire al pubblico. Proprio per questo mettersi continuamente in gioco si dovrebbe avere maggiore cura nei nostri confronti, anche magari un po’ di dolcezza nel parlare del nostro mestiere perché noi siamo obbligati a metterci l’anima, e non è da tutti riuscirlo a fare.”.

jasmine trinca 2

Sebbene Jasmine Trinca sia oggi un’attrice affermata (vincitrice solo poche settimane fa del premio come migliore attrice nella sezione Un Certain Regard a Cannes per il ruolo di Fortunata), la sua carriera è nata per caso e del tutto slegata con gli studi accademici: “Non ho una formazione come attrice. Ho fatto il primo film a diciotto anni mentre facevo il liceo. Nella nostra scuola vennero a fare dei provini per La Stanza del Figlio e Nanni Moretti mi notò. Ho dovuto fare un lungo lavoro perché non avevo nessun tipo di struttura attoriale ma pensavo che l’esperienza del cinema fosse finita lì. Mi sono iscritta all’università poi mi ha chiamato Marco Tullio Giordana per La Meglio Gioventù. Lì c’è stato un lavoro più preciso sull’immagine e sul movimento.”. Il resto della carriera della Trinca si è diviso tra commedie e film d’autori italiani, fino ad arrivare sui set francesi di Bertrand Bonello e Emmanuel Mouret (anche se ammette che non c’è stata molto differenza tra lavorare in Italia e nel resto dell’Europa). Quello che però ci ha tenuto a sottolineare, e che si ritrova anche in alcune riflessioni del volume edito per la mostra, è che il mondo dell’attore è molto legato allo sguardo che un regista decide di posare sull’attore: “Nel nostro lavoro si può essere bravi o pessimi. E’ molto difficile sapere che si può oscillare tra questi due estremi a seconda di come ci si sente guardato. Sono stata fortunata ad incontrare alcuni registi nella mia carriera, altri meno. Sicuramente se ne devo scegliere uno è Valeria Golino (Miele ndr) con cui ho instaurato un rapporto di scambio e comprensione profonda. Lei ha una sensibilità incredibile e c’è stata da subito una sorellanza tra di noi, non mi sono mai più sentita così libera e diretta allo stesso tempo. Oltretutto era un periodo della mia vita in cui avevo la sensazione di essere vulnerabile e nuda, e lei è riuscita a non farmi male.”. Su questo tema della fragilità la Trinca è tornata più volte durante l’incontro, come a volerlo eleggere ad elemento primario della figura dell’attore: “Volevo fare l’archeologa invece dell’attrice. Sentivo di aver bisogno della terra, invece mi sono ritrovata in questo mondo totalmente squilibrato. Solo ultimamente ho capito che non so che percorso prendere e che proprio questa incertezza è la strada giusta. Non ci può essere un compimento ma è tutta una ricerca di se stessi che va restituita in una forma diversa. E quando questo si nota è un segnale di autenticità.”.

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