#PesaroFF56 – Lùa vermella, di Lois Patiño

Il mito rimanda ai luoghi, i luoghi rimandano alle tradizioni e a quel cinema fantastico, che talvolta sembra sparire dallo sguardo dello spettatore per restare soggetto di ricordo. In Concorso

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Ancora un film su elementi primordiali, ancora un film su una specie di primitiva genia di uomini, di tracce, di simboli e di leggende. Siamo sulla costa della Galizia e in un luogo imprecisato, dove la presenza di una diga incombe sul paese, si vive nel culto del passato e di Rubio un marinaio, che prima di scomparire, salvò molte vite umane e diede sepoltura ai corpi degli annegati. Tre streghe cercano ancora il marinaio o il suo corpo. Il giovane regista spagnolo, al suo secondo lungometraggio, già dalle prime immagini ci introduce in un mondo straordinariamente immaginario e mitico tra antiche carte nautiche e leggendari mostri marini. Sin da subito, Lùa vermella sembra volere entrare in quella viva tradizione di cinema fantastico che, affondando le sue radici in una tradizione persistente, recupera una forma visionaria che traduce una specie di utopia dello sguardo, ciò che perfino le parole non sanno o non possono riprodurre. È proprio in questa dolce navigazione, sospesa tra leggenda e realtà, tra passato e presente, tra mondo reale e mondo irreale che il film trova la sua finalizzazione. La forma visionaria delle immagini, che sembrano estratte da sogni persistenti, fa in modo che Lùa vermella mostri tutte le sue indubbie qualità, quelle stesse che gli permettono di spingere lo sguardo ancora oltre, in quei territori ancora più estremi e quasi ancora neppure immaginati.

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Una separazione visibile divide il mondo fatto di forme e presenze leggendarie: il mare, l’oceano, i mostri marini, le creature mitiche, da quell’altro mondo, quello della morte, popolato da fantasmi invisibili che solo l’immagine del cinema sa vedere. Patiño sa costruire questa doppia realtà, sa lavorare sulle relazioni tra questi due mondi e sa, anche costruire quel legame indissolubile che li tiene, nonostante tutto, legati. Sono i pensieri degli abitanti a legare questi mondi. Catturati da un torpore invincibile ed eterno o da una altrettanto irrisolvibile ipnosi, restano vitali nella loro immobilità, restano vigili e custodi della memoria di Rubio e delle sua gesta, sospesi dentro questo mondo leggendario a due facce dentro il quale vivono.
Il film diventa dunque anche ricerca identitaria, un effetto indotto che avviene per vie traverse in quell’estremo lembo di terra europea che è la Galizia, un finis terrae che come in tutti i luoghi estremi si vive il presente sulla scorta di un passato leggendario e magnifico, terrorizzante e sempre diviso tra un mondo terreno e quello ultraterreno, un doppio atteggiarsi che i luoghi stessi suggeriscono. È il finis terrae che smettendo di essere terra e diventando l’incipit di qualcosa di sconosciuto, spinge fuori da questi confini l’immaginazione. Patiño sembra volere catturare questo fascino segreto dei luoghi e con grazia autoriale lo ha saputo riversare in questo film che si affida ad un originario e visionario sguardo sull’esistenza, al lato più misterioso e insondabile della antica terra di Galizia.
Era inevitabile, dunque, che il film vivesse su queste numerose e felici intuizioni, catturando un archetipico senso di questi luoghi di confine e recuperando una iconografia primitiva e infantile, dentro la quale proliferano mostri marini, personaggi misteriosi, streghe rappresentante anch’esse secondo una classica forma estetica e fantasmi classicamente ricoperti da abbondanti lenzuoli bianchi. Un cinema che sembra aprirsi all’immaginazione, reificando nell’immagine e soprattutto nella sua originale estetica tutta raddensata nelle tonalità scure e nell’uso di colori altrettanto densi e mai perfettamente definiti, quel bisogno di fantastico che solo un film, l’immagine, il cinema come corpo organizzato e strutturato di materiali visivi, sa e può pienamente restituire.
Lùa vermella smette o comunque non è solo, quindi, il racconto fantastico di un eroe celebrato e della sua comunità, ma si trasforma in radicato racconto mitico di luoghi immaginari, quasi un nuovo incipit di un racconto di Calvino o di Buzzati, ma soprattutto sa farsi catalogo di una tradizione popolare in cui morte e vita si intrecciano, quelle stesse tradizioni popolari, uguali un po’ dappertutto, che attingono dal sogno le loro leggende. Quello stesso sogno che torna in Lùa vermella laddove forse ciò che si vive è qualcosa di qualcuno che sta sognando, nella sovrapposizione onirica che già fu cara alla letteratura spagnola con Calderon de la Barca. Patiño con la sua indagine apre gli occhi su questi elementi e scrive il suo cinema, semplice nel suo senso finale, ma sapientemente articolato, che sembra perdersi, ma sapendo ritrovare al tempo stesso la necessaria unità in quelle radici comuni della cultura europea, in quei temi e quei personaggi (le streghe del Macbeth) che hanno dato l’impronta agli immaginari che attorno a quelle prolifiche figure si sono moltiplicati.

Il film del regista spagnolo non racconta solo una storia mitica, ma si fa anche guida universale di questo mito, raccogliendo e unificando, attraverso questa stratificata e visivamente ricca struttura narrativa, un senso profondo di comunità, creando un mondo in cui sembra scomparire il concetto di tempo, quel concetto così immanente che, invece, qui, nel mondo immaginario, improvvisamente, si fa evanescente. Il mito rimanda ai luoghi, i luoghi rimandano alle tradizioni e così il piccolo villaggio della Galizia sa rimandare anche quel cinema fantastico, che talvolta sembra sparire dallo sguardo dello spettatore per restare soggetto di ricordo. Lùa vermella riporta alla mente quel luogo inesistente dove Werner Herzog ambientò il suo Cuore di vetro, questo film viene da quella tradizione, nasce da simili radici e ci spinge a spalancare gli occhi su quei mondi così sconosciuti e sempre maledettamente affascinanti.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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