Peter va sulla luna, di Ali Samadi Ahadi
Nell’orizzonte dei prodotti animati europei, si posiziona tra quelli più influenzati dalle narrazioni americane, di cui reitera stancamente codici e figure. Funziona solo per il pubblico più giovanile
Per l’animazione europea la decentralizzazione produttiva tipica delle cinematografie del Vecchio Continente è sempre stata fonte della sua stessa incoerenza estetica. Diversamente da quella nordamericana o giapponese, non può contare su un assetto industriale storicamente definito, né tanto meno su una coesione inter-collaborativa a cui i legislatori continentali faticano ancora a dare una risposta adeguata. E in virtù della frammentazione creativa in singoli stati sovrani, ogni paese – se non ogni singolo studio d’animazione al suo interno – decide per sé la via da seguire, con la conseguente moltiplicazione di teorie, tecniche e approcci produttivi. C’è chi, come l’irlandese Tomm Moore e il suo studio Cartoon Saloon, sperimenta l’animazione come campo di indagine delle radici folcloristiche del proprio paese; chi, come il francese Michel Ocelot mette a punto una poetica espressiva assolutamente personale, oppure chi, come il tedesco-iraniano Ali Samadi Ahadi guarda con Peter va sulla luna all’universo iconografico-industriale più presente nell’immaginario collettivo internazionale: quello statunitense.
Perché da una prospettiva tanto narrativa che estetica, Peter va sulla luna definisce il proprio registro animato sulla scia referenziale del classico trittico Disney-Pixar-Dreamworks. Con l’intreccio che potrebbe tranquillamente svilupparsi – e di fatto, lo fa – a partire dall’omologazione narrativa del cinema d’animazione più convenzionale e blando. E in questo senso il protagonista non si allontana molto dall’immagine (e l’immaginario) dei suoi omologhi animati. Nell’iconografia, come nella caratterizzazione, Peter sembra riflettere le classiche figure delle animazioni statunitensi: è un bambino sveglio, intraprendente, ed ha una passione per lo spazio e la scienza (Big Hero 6?). Ma per un errore sua sorella minore viene rapita dal fantomatico Uomo Luna, desideroso di conquistare l’intero universo grazie al potere delle stelle cadenti. Secondo un piano che sarà progressivamente sventato dal giovane protagonista, coadiuvato da un coleottero codardo e da un vecchietto narcolettico (bambino/anziano/animale, come in Up). E seppure Peter va sulla luna sia adattato dall’omonima fiaba di origine teutonica, l’orizzonte di riferimento resta quello americano, oggetto sempre più di una traslazione ideale (e idealizzata) dei suoi codici in direzione di spazi relativamente nuovi. Ecco allora che il film viaggia, corre e si disperde: in linea con il percorso dei suoi personaggi, si getta all’inseguimento dei suoi referenti con un andamento ritmico forsennato, che nel suo dispiegarsi travolge figure, senso e significati. La configurazione cioè di un prodotto propriamente infantile, che rispetto ai suoi più alti riferimenti, ha la sola capacità – comunque lodevole – di dialogare esclusivamente con il pubblico su cui è tarato. Alla complessità ormai non è concesso più alcuno spazio.
Titolo originale: Peterchens Mondfahrt
Regia: Ali Samadi Ahadi
Voci: Dirk Petrick, Roxana Samadi, Peter Simonischek, Tom Vogt, Raphael Von Bargen, Gerti Drassl, Caroline Schreiber, Bastian Wilplinger, Santiago Ziesmer, Rajvinder Singh, Margarethe Tiesel
Distribuzione: Koch Media
Durata: 81′
Origine: Germania, Austria, 2021