Piazza, di Karen Di Porto

Un documentario affettuoso, una storia personale che si intreccia con il vissuto collettivo di un popolo. Menzione speciale della giuria al SalinaDoc Fest versione romana

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Un documentario che parte dalla storia collettiva per affrontare un lutto personale, la testimonianza di una regista che vuole raccontare il luogo e le persone che ama. Piazza, di Karen Di Porto, si fa portavoce di una comunità che vuole raccontarsi, tra la ricostruzione storica e l’orgoglio di chi ha per lungo tempo sofferto a causa dell’antisemitismo e che non è più disposto a sopportare in silenzio.

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C’è una zona nel cuore di Roma che è conosciuta dai suoi residenti semplicemente come “la piazza”, un quartiere storico e permeato della storia di un popolo, quello ebraico. Nota precedentemente (anche sulle carte) come “piazza giudea”, la piazza è stata negli anni un quartiere popolare ed un ghetto. Oggi, usando le parole di Karen Di Porto, è diventata «un paesino» dentro la città, in cui tutti si conoscono e condividono esperienze.

Nonostante la semplicità apparente del documentario, caratterizzato da interviste statiche (le classiche talking heads), la regista riesce ad impiegare il montaggio come un setaccio che, attraversato dalle parole di chi ha vissuto la storia, lascia emergere quelle esperienze comuni che si sono sedimentate nel ricordo e sono diventate storia. È interessante notare come queste esperienze diventino dei punti chiave del racconto di ogni protagonista e ritornino in maniera costante nelle ricostruzioni: l’assenza di bagni all’interno delle case nei primi anni, la necessità (e imposizione) di lavorare come straccivendoli o robivecchi, le retate tedesche durante la guerra, la deportazione, gli anni ’70 della violenza urbana e il ritorno del fascismo negli anni ’90. I racconti si intrecciano, costruendo un mosaico dettagliato e, a tratti, commovente.

Probabilmente l’esperienza più significativa da questo punto di vista è il fatto che non esista nessun abitante della piazza che non abbia almeno un parente, un conoscente o un amico che è stato deportato durante la guerra per non fare più ritorno

C’è poi una seconda linea, molto più personale, che attraversa il documentario. Di Porto utilizza il film per approfondire la conoscenza del defunto padre, un uomo «profondamente ebreo, profondamente sionista, il tipico figlio romano della Shoah», legato all’idea di Israele come luogo sicuro per gli ebrei. La regista sa che per raccontare la storia del quartiere è necessario raccontare anche la storia delle vessazioni che ha subito, vessazioni che si incarnano così nella figura del padre.

Piazza, di Karen di Porto, è un ritratto affettuoso e famigliare fatto da una persona visibilmente legata al tema che sta trattando, ma che riesce a non scadere mai nell’apologetico o nel banale, presentando in maniera sincera tanto i pregi quanto i difetti del padre e, con lui, degli abitanti della piazza.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2
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Il voto dei lettori
2.25 (4 voti)
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