Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII, di Adrian Maben
Da oggi al 30 aprile il restauro 4K del leggendario concerto dei Pink Floyd, remixato per la sala da Steven Wilson. Ancora oggi un film capace di irradiare un segnale dallo spazio profondo

Pink Floyd at Pompei, leggendario concerto “tra i fantasmi” nelle parole di Nick Mason, non ha avuto immediatamente successo. Il film diretto da Adrian Maben, inizialmente della lunghezza di un’ora, viene allungato a quasi 90 minuti in una seconda versione nel 1973, che include anche riprese delle registrazioni di The Dark Side of the Moon negli studi di Abbey Road. Proprio l’uscita di quest’ultimo, uno degli album più famosi di tutti i tempi, il 1° marzo 1973 offusca l’uscita del film, che grazie alle sue versioni home video riesce a guadagnarsi sempre più lo status di cult. Nel 2002 esce una director’s cut che include più immagini dalla NASA e delle sequenze inedite da uno studio di registrazione parigino, mentre nel 2013 Maben rimonta il materiale per crearne un documentario (Chit-Chat with Oysters).
Per tutti gli amanti dei Pink Floyd, ecco oggi la versione definitiva: Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII, in sala da oggi al 30 maggio. Si tratta della versione restaurata in 4K a partire dal negativo originale e con un sonoro in Dolby Atmos remixato per la sala dal leader dei Porcupine Tree, Steven Wilson. Dal 2 maggio uscirà anche, per la prima volta, in versione album live, in digitale, vinile e CD.
“L’eco di un tempo distante // si fa strada attraverso la sabbia // e tutto è verde e subacqueo”. I primi piani di Richard Wright e David Gilmour, che cantano insieme Echoes, si alternano con i volti scolpiti nella pietra di Pompei. L’immagine si sdoppia, si quadruplica, si frantuma, lo schermo diventa una tela su cui vengono convivono numerosi quadri. Il tempo si piega, le solfare si intersecano con il distacco di un modulo di una nave spaziale, nell’atmosfera incandescente.
In Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII, Adrian Maben riesce a racchiudere nel suo film lo snodo, il momento di passaggio sia di un’epoca sia della band. “Ho visto per la prima volta Pompei da una copia sgranata in un cinema locale. Mi ha fatto un’impressione incredibile, con la sua musica rock libera ed esplorativa fatta da quattro musicisti che sembravano incarnare la nozione di intellettuale cool”, ha dichiarato Steven Wilson. Con lucidità individua proprio questo passaggio intellettuale, il passaggio del rock a cultura “alta” e la fuoriuscita dall’ermetismo psichedelico del primo periodo della band, sotto la stella oscura di Syd Barrett (“Lime and limpid green // a second scene…”, annunciava in Astronomy Domine).
Ecco che Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII diventa non solo un restauro più che doveroso, ma si allinea perfettamente anche alle evoluzioni contemporanee del cinema. Una visione che ci parla di una sala che è sempre più crocevia, il cui schermo è cerca sempre più di aprirsi. L’inquadratura diventa spazio profondo, un vuoto attraversato da schegge di ogni tipo, capace di farsi museo e stadio, palco su cui suonare o schermo su cui giocare. Ed ecco che ne fuoriesce un segnale, un’irradiazione che si insinua sottopelle, un segnale sconosciuto e incomprensibile. Forse, però, lo si può comprendere lo stesso. “E nessuno ci ha mostrato la terra // e nessuno ci ha mostrato i dove e i perché // ma qualcosa si agita e qualcosa cerca // e comincia a salire verso la luce”.
Titolo originale: Pink Floyd: Live at Pompeii
Regia: Adrian Maben
Con: David Gilmour, Richard Wright, Nick Mason, Roger Waters
Distribuzione: Nexo Studios
Durata: 90′
Origine: Germania Occidentale, Belgio, Francia 1972