Più a sinistra di Marx (Groucho): 32 anni di Sentieri selvaggi

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Più a sinistra di Marx (Groucho)

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di Federico Chiacchiari

«I miei personaggi dicono che va bene essere incasina­ti. La gente non deve necessariamente essere perfetta. Non deve essere intelligentissima. Non deve seguire le regole. Può divertirsi. La maggior parte dei film di oggi fa sentire la gente inadeguata. lo no».

(John Belushi da «Newsweek» 23 ottobre 1978)

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«Je suis marxiste, detendance Groucho», questa frase, apparsa sui muri del Quartiere Latino di Parigi nel mag­gio 1968, sintetizza in qualche modo quelle che sono le due coordinate/origini del demenziale: il ’68 e i fratelli Marx.

Esploso improvvisamente nella seconda metà degli anni ’70 e divenuto internazionalmente famoso nel ’78 con «Animal House» il cinema demenziale è un prodot­to di quella che si può definire la parte migliore della cultura del ’68. La carica trasgressiva, sempre contro, la spinta anticonformista e soprattutto antiesta­blishment caratteristiche tipiche del demenziale ven­gono tutte dai movimenti degli anni ’60, movimenti ai quali appartengono per cultura e generazione i più notevoli suoi rappresentanti (Landis il trio Zucker, Zucker, Abrahams, e la banda di National Lampoon), tutti nati a cavallo tra la fine dei ’40 e i ’50 e quindi 18­20enni all’epoca. Di Belushi è nota la sua partecipazio­ne alla storica manifestazione alla Convention Demo­cratica di Chicago’68 (quellla resa famosa dalla canzo­ne di Crosby, Stills, Nash & Young, quella «mitica» alla quale non riuscirono ad arrivare i protagonisti di «The Return of the Secaucus Seven» di John Sayles) dove era in prima linea a beccarsi addosso i gettiti violenti degli idranti polizieschi.

Se dunque possiamo ritrovare nella cultura del ’68 le origini del demenziale è altresì vero che lo «spirito» appartiene alla generazione e alla cultura del ‘77. L’iro­nia diffusa, il trasversalismo come insofferenza di ogni rigidità, la riappropriazione del corpo come strumento ludico, materiale; del riso, del divertimento, dello svac­co come luogo di piacere, contro il dovere, la morale e le ferree leggi che governano la vita quotidiana; il fare politica non come ideologia, militanza, ma come lavoro sull’immaginario collettivo, teso a produrre nuovi luo­ghi, nuovi soggetti, nuove «immagini».

E quindi ecco la «terapia d’urto» fatta di remakes, cita­zioni, sberleffo continuo, rithm’n’bluescome riscoperta del rock nelle sue origini più genuine e trasgressive, il mescolamento dei generi come scardinamento delle pratiche e dei discorsi del/sul cinema, l’invasione/in­tromissione in tutti i luoghi possibili dei media (stampa, cinematv, musica) come infiltrazione, tentativo (riusci­to) di portare ovunque il disordine e il caos, vera e pro­pria pratica produttiva.

Figlio del’68 ma permeato fino in fondo dello spirito del ’77 il demenziale è universalmente noto come una tra­sformazione – punto di evoluzione del genere comico (la nozione diffusa è infatti quella di comico-de­menziale); noi siamo qui per dirvi che non è così. II demenziale non è un genere ma una bomba ad alto potenziale esplosa tra la fine dei ’70 e gli ’80.

E qui il paragone col noir potrà sembrare una bestem­mia, ma sentite cosa dice Paul Schrader: «(il film noir) non è definito come lo possono essere il gangster film o il western da convenzioni di messa in scena e di intrec­cio, ma dalle più sottili qualità di tono e di atmosfera. II noir è un periodo specifico della storia del cinema come l’espressionismo tedesco o la nouvelle vague francese»; e ancora come ha scritto Joney Piace: «II film nero è caratterizzato da uno stile, da un’atmosfera incredibilmente omogenea che attraversa tutti i generi. E questa avviene solo in una particolare epoca, in un luogo particolare, in risposta alla crisi nazionale di un certo periodo». Ora sostituiamo al termine noir la defi­nizione demenziale e otterremo come soluzione che il demenziale è un periodo (uno dei migliori) della storia del cinema USA.

Certo quelle che Schrader definisce «le più sottili quali­tà di tono e di atmosfera», nel demenziale diventano le più catastrofiche, oscene e scatenate, ma il senso non cambia.

Dove cambia invece, e davvero è il segno dei tempi, è il rapporto con i generi. 11 noir, figlio del dopoguerra e delle ambiguità ed incertezze degli anni ’40 si inseriva silenziosamente in tutti i generi possibili (dal mèlo, al western, al gangster, ecc) per scardinarne dall’interno le ipocrisie più smaccate, sostituendole con categorie più equivoche quali il sospetto, la crisi d’identità, la claustrofobia, la disperazione, I’isterimo, la paranoia, rendendo più complesse e ambigue le coppie bene/male, giusto/sbagliato. In questo senso l’operare prevalente­mente sul genere poliziesco era in qualche modo un alibi (per forza «bisogna» parlare di tradimenti, crimi­nali e violenza in quel genere) e un «luogo» che mag­giormente si «adattava» alle caratteristiche impressio­nistiche-pessimistiche del noir.

II demenziale è invece pienamente dentro le trasforma­zioni sociali e culturali degli anni’ 70, ed ecco quindi che non ci si inserisce più negli altri generi ma li si ingloba, creando una sorta di megagenere a cui tutto si riduce. II demenziale diviene così un luogo «forte» dove i generi si intersecano e si mescolano, dove la storia del cinema e l’immaginario filmico vengono rivisitati, attraversati, violentati-trasformati-parodiati, cioè riscritti, ripensati. Tutto questo con un’«apparenza» cinefila (basti pensa­re agli omaggi-citazione di «1941» o de «L’aereo più pazzo del mondo»), ma con in realtà una carica distrut­tiva (anche dei set) e volgare che impone comunque e ovunque il disordine.

Anche qui si sceglie un «luogo preferenziale» in cui operare, un alibi per ottenere l’assenso dell’industria dello spettacolo: il comico. Infatti il comico è il genere che più degli altri si presta alle infinite variazioni critico­satiriche, alla follia surrealeall’inverosimile, alla possi­bilità reale di «distruzione». Ma del comico si riprendo­no le componenti più trasgressive e innovatrici. E abbiamo quindi il recupero della comicità dei fratelli Marx«irriverenti di tutto e di tutti», specie delle istituzio­ni (matrimonio e polizia sono i loro bersagli preferiti), e quella di Jerry Lewis, la critica dell’«American Way of Life» più profonda e spietata che sia mai stata fattaQuesti recuperi vengono mescolati in quel gran frulla­tore che è il comico demenziale con alcune «perle» del passato come «Hellzapoppin», grande capolavoro del nonsense (film del’41 di Potter scritto da Nat Perrin, già sceneggiatore dei Marx; proprio «1941» di Spielberg si ispira a questo film per le numerose situazioni narrative proposte che si intrecciano, mescolano, perdono); oppure con quelle riscritture della storia del cinema che erano gli «Elvis-movie» (dove Presley «contamina­va ciascun genere col disprezzo pietoso del suo sguar­do e i gesti da maniaco sessuale del suo corpo», v. R. Silvestri, Replay n. 4).

«II punk era anti tutto, e lui si sentiva proprio così»

(Bob Woodward, a proposito di J. Belushi)

«Questo è un film punk»

(John Belushi, a proposito de I vicini di casa)

II demenziale nasce negli Stati Uniti come risposta (produttiva) alla crisi ideologica della sinistra, come superamento della cultura della crisi lavorando dal di dentro l’industria dell’immaginario. In questo senso è all’opposizione e tenta come un cancro di minare dal­l’interno il corpo/istituzione.

Ma è comunque un fenomeno internazionale, co­smopolita.

Suoi fratelli «illegittimi» sono in Italia il movimento del ’77 (quell’ala creativa tipo indiani metropolitani che non è vero che si differenziava dai «cattivi» autonomi per­ché fosse non-violenta, anzi, ma per una diversa con­cezione e pratica delle «strategie di liberazione», rom­pendo i meccanismi perversi, «tozzi e militanti» del fare politica attraverso mille pratiche sotterranee, facendo del divertimento, della gioia, e del piacere un terreno da viver qui e adesso e non in una futura vita o società) il movimento punk inglese (il punk fu uno sberleffo continuo contrapposto allo status-quo dominante, rifletteva la delusione della generazione post-sessan­totto per i fallimenti della generazione precedente, ave­va sfiducia verso tutte le ideologie dominanti, ma soprattutto il punk operava quella sorta di «bricolage» dello stile, in cui riproduce l’intera storia stilistica delle culture dei giovani del dopoguerra, nella forma del «cut-up», combinando cioè elementi che erano appar­tenuti originariamente ad epoche del tutto diverse (v. D. Hebdige, Sottoculture). Ecco quindi ancora il mescolamento, dal lavoro sui generi a quello sugli stili).

Ma la vera innovazione del demenziale è stata quella di essere da un lato, come abbiamo visto, profondamente dentro gli anni ’70, dall’altro immediatamente teso in avanti verso le trasformazioni culturali-produttive degli anni ’80, con in più un’originale rilettura del «passato» cinematografico.

Come l’angelo della storia di Klee-Benjamin il demen­ziale vola avanti con lo sguardo rivolto al passato, «vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine». (…) Ma al contrario di questi il quale «vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso… e lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spal­le…», «I’angelo demenziale» si ferma, irrompe nella sto­ria (1941) irrompe nei film rifacendoli (Animal House, L’aereo più pazzo del mondo) insomma ridesta i morti e fa delle rovine, della catastrofe della storia una sorta di confusione e commistione, producendo con innova­tiva capacità moda, idee, comportamenti, immagi­nario.

Ed abbiamo allora il recupero del blues e della cultura nera per cui «I’estetica punk (e quella demenziale) può essere letta in parte come’traduzione’ bianca dell”etni­cità’ negra» (Hebdige); la critica della malinconica dol­cezza dei sixties (American Graffiti) e la sua sostituzio­ne con la rivolta e la distruzione (Animal House); l’elo­gio della sporcizia e dell’indecenza, del quale il punk­PigPen -Belushi è stato il massimo teorizzatore e realiz­zatore; e ancora l’esaltazione (e il recupero) del nero come colore trasgressivo (di pelle, vestiti e occhiali, vero boom degli anni ’80); la revisione critica della sto­ria Usa (1941), la revisione critica del cinema Usa (L’ae­reo e Top Secret), lo sberleffo continuo delle istituzioni e delle sue armi (Scuola di polizia, Stripes, 1941, ecc.). Belushi poi segna la rivincita del corpo grasso/gros­so/sfatto nei confronti dei divi patinati/macho dilagan­ti, mentre Animal House diviene modello da imitare (la diffusione nelle università degli States dei «Food Fight», dei «Toga Party», ecc.).

Insomma il demenziale si caratterizza come l’ultimo (finora) tentativo di sovvertire il cinema e la cultura americana (e non solo: vedi i Monty Python in GB, Beni­gni, Lupo Solitario e alcune cose di Drive In da noi). In questo senso quella demenziale è «una macchina sen­za sogni», che demistifica il sogno americano (le stu­pende conclusive carriere dei protagonisti di Animal House) e che ha avuto la capacità davvero unica di costruire dei prodotti molto eccentrici, davvero fuori dal «gusto comune», trasgressivi, di tendenza ma che ugualmente sono riusciti ad avere un pubblico enorme (vedi il successo al box office di Animal House, Blues Brothers, Ghostbusters), il tutto con un cinismo e una irriverenza davvero esemplari.

Ha scritto Beniamino Placido in una bellissima prefa­zione al saggio di Bergson che «c’è il riso dell’eversio­ne. C’è il riso della conservazione». II demenziale è il riso dichiaratamente schierato a favore del disordine, meravigliosamente dalla parte dell’eversione.

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