Placido Rizzotto, di Pasquale Scimeca











Regia e sceneggiatura: Pasquale Scimeca
Fotografia: Pasquale Mari
Montaggio: Babak Karimi
Musica: Agricantus
Scenografia: Luisa Taravella
Costumi: Grazia Colombini
Interpreti: Marcello Mazzarella (Placido Rizzotto), Vincenzo Albanese (Lo sciancato), Carmelo Di Mazzarelli (Carmelo Rizzotto), Gioia Spaziani (Lia), Arturo Todaro (Capitano Dalla Chiesa), Biagio barone (Pasquale Criscione), Franco Catalano (Giovanni Pasqua)
Produzione: Arbash Film
Distribuzione: Istituto Luce
Durata: 110 minuti.
Origine: Italia, 2000


Il mito e la storia si confondono splendidamente in Placido Rizzotto, opera aerea e tenace in cui Pasquale Scimeca riporta sullo schermo un mondo che sembra assopito nell'attesa del suo racconto. Come una ballata popolare che si tramanda oralmente e torna a vivere ad ogni rappresentazione, scoprendo e lasciandosi scoprire, mostrandosi ad uno sguardo libero, pieno di autentico stupore. Il film segue le vicende di un uomo e della sua affannosa corsa verso la morte, una fine quasi annunciata (non solo dalla striscia disegnata che ne ritrae i momenti più significativi) che si disegna nei volti di chi lo circonda ed assiste alla sua lotta contro la mafia. Scimeca racconta e riflette al tempo stesso, richiama al presente una memoria che trova radici nei paesaggi siciliani e nei volti dei suoi abitanti, costruisce immagini di luce, aria, parola e azione, dove la luce si impasta con l'aria, e la parola si lega al gesto in una combinazione che sa di antico e che gode della stessa leggerezza del ricordo. Placido Rizzotto prende forma e corpo a partire dalla voce di un cantastorie senza tempo che si racconta ad un drappello di uditori: la sua storia è fatta di uomini e di ideali in un'Italia controversa e sconosciuta nelle sue pieghe nascoste. Quello che qui si mette in evidenza è un microcosmo che racchiude il senso di un'epoca e si fa ritratto urgente delle contraddizioni in essa presenti, il silenzio che si apre in conoscenza e un racconto che perde lentamente il suo carattere di leggenda per andare d occupare una pagina precisa della nostra Storia. Una lezione di regia che aderisce ad un cinema di incredibile purezza, come per Il Siciliano di Cimino, anche qui si fa protagonista un percorso sapiente di allontanamenti e di avvicinamenti, progressivi e continui, abbracciando con lo sguardo movimenti regolari e ripetitivi che si imprimono nella generosa vastità dell'orizzonte, ma che si ritrovano, ugualmente forti, nell'espressione di un volto o nel sussulto di un corpo. Tutto potrebbe essere contenuto nell'ampio esordio, nella panoramica che ci mostra una campagna bruna, deserta e silenziosa, nei movimenti lievi della macchina da presa, occhio che cerca un superficie alla quale legarsi per riprendere la corsa, salvo poi restare senza fiato sui tetti di Corleone e fermarsi immobili, come sospesi, sul volto spaventato del piccolo protagonista. Da questo momento in poi il film si identifica sempre più nella forma della ricerca, un viaggio del desiderio e del pensiero che da idea sa farsi immediatamente cinema.
Grazia Paganelli

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