POESIE FOLLETTI PAZZI

Cinema e vita che la realtà condanna alla provvisorietà, cinema e vita tesi per forza verso il definitivo. Tutti gli esorcismi e tutte le fughe dal tempo, la mancanza e la perdita come senso dell'esistenza.

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Ed ora questa storia

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Sembra un vecchio ritornello


Una serenata


Fatta una luna traditrice


Mi trovo tutto solo qui a cantarla


Tutti gli altri son scappati via


Poesie folletti pazzi


Amori persi diventati


Nostalgia.


VINICIO CAPOSSELLA Stanco e perduto


 


Sono in attesa di una chiamata, ma già so che non arriverà. Per quel che vale… Vado a fumare una sigaretta sul balcone…E' buffo pensare che, come questa sigaretta, tutto vada lentamente a consumarsi. E' proprio come dice 223 in Hong Kong express: "Chissà da quando, ma tutto ha una data di scadenza". Bah…in fondo si sa, ci sono donne buone per un giorno ed altre che s'inseguono per anni e ti sfuggono di mano, come fossero di sabbia o, peggio, di neve. A volte si arriva troppo tardi, a volte troppo presto, oppure si resta romanticamente legati al passato e si perdono le coincidenze, gli aerei che decollano…Alla fine tutto sfuma. Rimaniamo a struggerci di malinconia, a piangere per il passato come l'androide dalle emozioni differite di 2046. Che farci? Così gira il mondo…non è certo solo l'amore… Dove sono finite tante persone? C'è chi è partito, se ne è andato via, a cercare un posto migliore. C'è chi si è sposato, si è chiuso nel suo mondo dorato e ti ha messo in un angolo. Qualcuno è morto. E poi litigi stupidi, questioni di soldi o d'orgoglio, tradimenti…E' sempre la stessa storia, il cinema l'ha raccontata migliaia di volte. Quanti grandi film sulla giovinezza perduta, sul tempo che passa inesorabile. La "linea d'ombra" del cinema…American graffiti, con il racconto degli eventi di una notte mitica, che fa quasi da spartiacque, l'ultima fiammata prima della separazione, del passaggio del varco. E soprattutto Un mercoledì da leoni. "Il passato non torna" dice Matt a Bear. Non ci saranno più le feste di una volta, le ubriacature, le scazzottate, le giornate a mare con gli amici. E però c'è una speranza, l'attesa che prima o poi arrivi the big Wednesday, quel giorno memorabile, in cui tutto quello che sei stato e tutto quello che hai visto acquista il suo senso.

Noi siamo fatti di Tempo, organismi in continuo divenire, corpi che mutano. Vita in motu constat. La nostra esistenza è all'insegna del distacco. Non a caso, veniamo al mondo separandoci dall'utero della madre e quella prima separazione già è pianto e dolore. "Sein zum zeit", scriveva Heidegger: essere per il tempo è la dimensione dell'Esserci. Ma il tempo, il divenire contiene in sé l'idea della morte. Essere per il tempo è anche essere per la morte e ogni separazione e rottura non rimanda ad altro che al più definitivo dei distacchi. Ma è difficile accettare tutto questo. C'è sempre un'ansia di assoluto, un desiderio d'immortalità che spinge alla ricerca di un riparo allo scorrere del tempo. Truffaut, in questo senso, è imprescindibile. Tutti i suoi film in fondo nascono da un profondo senso di perdita, a tutti i suoi personaggi viene a mancare qualcosa, l'amore, l'affetto familiare, i libri (Fahrenheit 451) o le persone care. Per questo essi sono perennemente tesi ad un vano ed illusorio definitivo. Che cos'è La camera verde se non il più emblematico, assurdo esorcismo contro la morte? Julien Davenne si circonda delle foto delle persone morte nel tentativo di immortalarle. Ma così facendo, rinuncia a vivere. Il suo desiderio è follia pura e non può che condurre allo scacco. Essendo un morto che cammina, non può far altro che morire davvero. E così tutti i personaggi truffautiani che desiderano ardentemente l'assoluto sono votati alla sconfitta. E' quanto accade alla Catherine di Jules e Jim. La sua vitalità disperata, il suo anticonformismo, tendono al raggiungimento della libertà e della felicità assolute. Catherine prova a "reinventare l'amore" e per questo tiene legati a sé due uomini, ognuno dei quali le è indispensabile. Ma quel menage a trois, all'inizio così gioioso e magico, è destinato crollo di fronte alla realtà ben più limitante dei sentimenti. Quando che quello che cerca altro non è che un sogno, decide di andare incontro alla morte, ultima ed estrema affermazione di libertà, di irriducibilità al reale. "Abbiamo giocato con la sostanza della vita e abbiamo perso", afferma Jules nel finale ed è l'amara constatazione del fallimento dei sogni, la presa d'atto della vittoria del provvisorio sul definitivo. Lo stesso destino attende i tanti amanti folli di cui è costellato il cinema di Truffaut. Adele Hugo cerca di annullare la presenza ingombrante del padre nella sua ossessione per il tenente Pinson, ma esce completamente di senno; i due amanti de La signora della porta accanto, incatenati al loro passato, non possono che morire. Ma anche chi tenta di accontentarsi del provvisorio, in fondo, non ha maggior fortuna. Bertrand Morane, l'uomo che amava le donne, non fa che sfuggire al dolore, alle antiche delusioni e lo fa con metodo e costanza, ma cosa ottiene? Doinel cerca di adattarsi al mondo, ma rimane sempre preda delle sue assurde passioni, resta un alieno, irrimediabilmente altro da un mondo che gli ha sempre mostrato indifferenza. Il suo sguardo smarrito verso la macchina da presa ne I quattrocento colpi era già un'ammissione di solitudine. Solo ogni tanto Truffaut concede  ai suoi di raggiungere la felicità che cercano. Ne La Sirène, ad esempio, con Belmondo e la Deneuve che nel finale vanno abbracciati verso il confine svizzero. Ma il futuro resta ignoto. Oppure in Finalmente Domenica!. Ma è soprattutto nell'arte che è possibile una via di fuga. Nel teatro di L'ultimo metrò è possibile mettere in scena un mondo nuovo, che segue altre regole e altre logiche, in cui, aldilà di gelosie e minacce della Storia, ci si può prendere per mano. E a maggior ragione il cinema sembra attingere ad un assoluto che è negato nella realtà. "La vita privata zoppica per tutti quanti. I film sono più armoniosi della vita, non ci sono intoppi, non ci sono ripensamenti nei film. I film vanno avanti come treni, capisci, come treni nella notte…" (Da Effetto notte). Se Alexandre muore in un incidente, è sempre possibile far finta che ciò non sia mai successo, trovare controfigure, utilizzare ciò che ci ha lasciato, le sue interpretazioni, le sue immagini. E' un po' quello che dice Bazin: "il cinema appare come il compimento nel tempo dell'oggettività fotografica" e per questo eredita la funzione delle arti plastiche di "esorcizzare il tempo".

Ma le cose non stanno proprio così. Lo stesso Truffaut, in morte di Françoise Dorleac, scrive "I film passano, e con loro, anche quelli che li fanno, quelli che li giudicano e quelli che li guardano. Anche quelli che li interpretano passano…". Il cinema può rendere eterna, perennemente proiettabile un'immagine, cioè un fantasma, un'idea, ma non può bloccare la realtà, il deperire dei corpi, lo sfiorire della bellezza, la caduta dei capelli. Lo stesso cinema come mezzo è soggetto al tempo. Alexandre muore e con lui muore tutto un modo di fare cinema…i film di oggi sono diversi da quelli di ieri, si girano in modo diverso, con tecniche diverse, cambiano i mezzi, la pellicola viene sostituita dal digitale e così via. Il finale di Millennium mambo è una folgorazione. Vicky cammina in una strada innevata di Yubari, piena di manifesti di vecchi film, ma è un'immagine passata: la sua voce off ci parla a dieci anni di distanza di un paese di pupazzi di neve, che al primo raggio di sole, si disciolgono…Di Jean Gabin non resta che qualche manifesto e metri e metri di pellicola…


Non c'è proprio nulla da fare. Con la perdita bisogna convivere. La vita lavora di sottrazione. Il lutto e l'oblio non possono essere cancellati, sono costitutivi del nostro essere, epperò danno spessore alle nostre anime, sono una finestra spalancata sul senso delle cose… La morte è lo scrigno dell'essere.


 

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