POLEMICHE – Fellini, Fellini… (2)

Un lettore, contrariato dalla rilettura di Francesco Ruggeri, si cancella sdegnato dalla newsletter. Un altro invece lo esalta. Stimolati, fioccano interventi nel gruppo di discussione redazionale. Ne viene fuori un dibattito intenso, su Fellini, certo, ma soprattutto sul cinema, la critica e sul ruolo di Sentieri selvaggi. Il dibattito prosegue…

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1/11/03 ore 15.09

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Cari tutti,
non sono d'accordo.
Innanzitutto con il lettore, che confonde il dissenso (legittimo) con l'integralismo e dimostra di non rispettare le opinioni altrui.
Poi non sono d'accordo con il METODO usato per fare emergere queste idee "controcorrente" su Fellini. Colpa che va divisa fra la redazione e Francesco. Sarebbe stato più corretto evitare di inserirle in un articolo realizzato per il decennale della morte e, invece, ragionarci prima tutti insieme per eventualmente predisporre uno speciale a più
voci. Così com'è andata l'opinione (comunque legittima) di Francesco ha finito per incarnare quella "ufficiale" della rivista, che personalmente non condivido, nella quale non mi riconosco e dalla quale prendo le distanze.
Infine non sono d'accordo con questo (a quanto pare diffuso) atteggiamento secondo il quale la critica deve necessariamente essere un pensiero "contro" qualcosa/qualcuno per avere un valore politico, pedagogico, costruttivo eccetera. A tal proposito mi permetto di citare il nostro Federico (non ti montare la testa però 🙂 quando, nella posta di Sentieri Selvaggi (versione cartacea) n. 6 scrisse "Sentieri Selvaggi non è contro nessuno. Si può essere per una volta "a favore"?
Ecco, preferisco distinguermi per essere fra quelli "a favore" piuttosto che "contro": a favore di Clint Eastwood o Carpenter o Shyamalan mi sembra molto più politico/ pedagogico/ utile/ costruttivo che essere contro a tutti i costi.
Non è la prima volta che si discute di questa cosa, ricordo una (terrificante) proposta di istituire una rubrica dei film "che non amiamo" e ci tenevo a ribadire il concetto. Che è il mio, ma è anche (spero di non passare per presuntuoso) quello che ha sempre guidato
Sentieri Selvaggi.
Cordialmente vostro
Davide Di Giorgio


 


 

1/11/2003 – ore 15.53


 


Gentile Redazione di Sentieri Selvaggi


Scrivo riguardo all'articolo di Francesco Ruggeri su Federico Fellini che si conclude con la frase "L'immagine commemorata non varrà mai quella discussa". Asserzione quanto mai indispensabile, esatta e fondante almeno per me. E se si pensa al fiume, o meglio alla sconclusionata valanga di celebrazioni e unte ossequiosità della prima o dell'ultim'ora rivolte a personalità artistiche come il regista riminese o chiunque altro 'mostro sacro', ebbene non si può che condividere lo spirito che anima una piccola invettiva controtendenza su tanta retorica, pomposità e spesso mancanza di analisi, indipendenza e spirito critico. E diciamo pure che ormai chiunque si riempia la bocca di lettere che vadano poi a comporre famigerate parole quali 'Fellini', 'Kurosawa', 'Leone' o anche 'Tarantino' otterrà in cambio degli "Ooh" riverenti e un lasciapassare per tutte le aree nel backstage dell'olimpo di quelli che sanno; e sottolineo nel backstage. In buona sostanza le santificazioni ottuse e cieche non fanno bene a nessuno e soprattutto agli artisti stessi oltre che all'onore dell'intelligenza comune.


Premesso ciò, risplende di accecante evidenza come l'articolo di Ruggeri sia frutto di un meccanismo apparentemente opposto ma assolutamente simile a quelli appena menzionati. Qui si gioca al micidiale e velleitario giuoco del revisionismo tanto per revisionare. Al gioco adolescenziale e fastidiosissimo del dettare regole e dettami su come dovrebbe essere il cinema e a quali doveri gli autori dovrebbero attenersi. Si gioca, noiosamente, al Ghezzismo d'accatto ma senza avere nemmeno la minima capacità astrattiva di permettersi un fuori sinc. Si attribuisce 'artefazione' e 'lontananza dalla realtà' alla 'Dolce Vita' rimpiangendo il primo periodo influenzato dal neorealismo e si fa riferimento a Rossellini. Ma è mai possibile che si possa ancora fare riferimento a una presunta grammatica dei doveri del cinema, che si sia tanto sordi da non percepire la fonologia ben più misteriosa, complessa e affascinante delle emozioni, della fantasia e della tragedia. E' mai possibile ancora che ci sia qualcuno che esamini i film con un manualetto in mano. Con l'abbecedario aggettivale del bravo critico contemporaneo?


Una cosa è tutto ciò che è 'Felliniano' un'altra è Fellini. Una cosa è l'apparato circense che si affastella su un mito senza nemmeno averlo capito, un'altra cosa sono le opere che hanno generato il mito. Come ci si può riferire a concetti di realtà e realismo parlando del cinema di Fellini? Come si può non intuire che la gestione espressiva dei concetti medesimi è talmente distante dai manualetti di cinema da divenire universale e dunque assolutamente -realistica- cioè comune al vissuto emozionale dell'essere umano. Dunque se "l'immagine commemorata non varrà mai quella discussa" ricordiamoci di discutere lasciando i Bignami e le Play Station a casa.


Con simpatia


Francesco Cabras, regista.


 


 

1/11/2003 – ore 16.08


 


D'accordo con te su tutti i fronti (compreso lo speciale su Fellini a più voci) o quasi, Davide. Non sono d'accordo invece sul credere che il mio discorso (perché a quello si sottende) non comprenda una critica "a favore" piuttosto che solo "contro". Cos'è stato per esempio il copioso speciale (l'unico in Italia e non solo) su Silberling e "Moonlight Mile"? Critica estremamente positiva e rivalutante; cavolo se lo è stato. Ma lasciami dire questo. Se con Fellini a mio parere Francesco spezza un panegirico culturale (ancorché giustificato) e istituzionalizzato, tanto da meritarsi la locuzione di "pensiero contro", la stessa cosa si è fatta (pur scrivendone bene) con Silberling. Questo volevo intendere. Un pensiero contro certo sistema o certa sistematizzazione o certo cinema, non specificatamente contro Fellini; ecco perché dicevo "agnello sacrificale". Per Sielberling si sono sprecate lodi (giustificate), ma al contempo ci siamo spostati sempre "contro" il resto della critica e del pensiero cinematografico comune. Questo per me è un atto (anche) politico. Non siamo "contro" (ancora per poco) anche quando parliamo bene di Renny Harlin?, o quando parliamo entusiasticamente di Rob Cohen (personalmente ritengo che "Daylight" sia un capolavoro)? Ma anche con Lelouch, con Neri Parenti e i Vanzina…


Poi per quanto riguarda l'essere d'accordo con Francesco o con la redazione è un altro discorso. Mi ricordo quando parlai bene di "Insomnia" e venni subito castigato dal buon Emiliani. Oppure mi sarebbe piaciuto che si fosse dato peso ancora maggiore (anche se il mitico Roberto Lasagna non se l'è fatto scappare) a una piccola perla come "Il regno del fuoco". Per esempio non sono assolutamente d'accordo con il giudizio positivo su "Veronica Guerin" e Schumacher in generale, ma tant'è, sono decisioni che non dipendono solamente da noi, anzi. Anche io, come te Davide, prendo le distanze da qualcuno o qualcosa, in questo caso da Schumacher, ma è un ragionamento che spesso resta nel sottoscala, come quello di un pub di fronte a una birra o quello dell'e-mail collettiva di Sentieri.


Volevo solo precisare questo.


Grazie


Simone Ciaruffoli


 

1/11/03 – ore 19.03


 


Sounds good


 


Sentieri selvaggi non è mai stata una rivista contro qualcuno ed ha fatto della passionalità e del piacere i parametri essenziali della sua filosofia.


Anche prendere cantonate è possibile: non ci piace e non ci è mai piaciuta la pratica del politicamente corretto ed abbiamo sempre agevolato ciò che è dibattito culturale vero. Talmente vero che fa arrabbiare, indignare, stizzire. Che obbliga a prendere posizione, a definire una volta per tutte cos'è il cinema che ci portiamo dentro.


Il lettore che ha sbattuto la porta era nel pieno diritto e conferma una linea che è stata sempre la nostra: una sincerità viscerale, una volontà di mettersi a nudo, di esibire le contraddizioni più intime. Sono cose che, talvolta, fanno male e, a volte, fanno paura.


Per questo: ben vengano altre lettere simili, siano benvenute le incazzature, le accuse, gli attacchi verbali che partono dal cuore e dallo stomaco. In uno Stato in cui la cultura vale poco o niente e ben altre forze alterano e dominano il tessuto sociale, questa diatriba, questo scambio di accuse, questa matta riflessione è un buon suono per le nostre orecchie. Ci siamo svegliati – almeno per un po'.


Sulle pagine – ancorché virtuali – della nostra rivista e, in modo più sistematico, nei nostri corsi (di critica, di regia e di quant'altro), abbiamo professato spudoratamente questa religione che ci spinge a non nascondere, a non formalizzare in un discorso "pulito" quanto l'anima, in quel momento lì, ci dettava – senza la paura di dover dire "ho/abbiamo sbagliato". Crediamo semplicemente che la critica sia un atto assoluto, autobiografico – come dice Wilde, un atto di coraggio che non lascia fuori nulla della nostra esistenza. Per questo è contraddittorio, poetico, furioso, politico, intimo, esasperato, perverso… insomma, ben poco simile a ciò che normalmente leggiamo sulla stampa nazionale. Miriamo ad una critica non impressionista bensì complessa, capace di esprimere un'idea di cinema che parta dalla vita e non dal cinema stesso.


Per questo, non chiedeteci di essere lineari, pacifici, coerenti: rispondiamo ad un mondo potentemente ambiguo che cerchiamo, in tutti i modi, di narrare. E se il cinema affonda verticalmente nei nostri sentimenti, non possiamo far altro che riportarne alla luce i sussulti ed i brividi, non certo l'utopica pacificità del sentimento-amore.


Queste lettere che s'incrociano e che penetrano potentemente nel nostro sogno di cinema è quanto desiderato. E chi non è d'accordo continui pure ad attaccare, a colpire, a tirare fendenti: è un gioco che ci piace, è la battaglia pulita alla quale non vogliamo rinunciare.


 


Demetrio Salvi


 


 

1/11/2003 – ore 21.47


 


Cari "selvaggi", un saluto a tutti voi. Demetrio ha detto tutto, e mi pare che lo abbia fatto nel migliore dei modi. Prendo dunque la parola soltanto per precisare quanto scritto sull'articolo "incriminato". Amarcord Fellini non è un profilo, una recensione, una revisione. Si, è vero, parlo di Fellini, ma al suo posto potrebbe esserci quasiasi altro nome, regista, film. La celebrazione non mi piace, e con essa tutto quello che si porta dietro, in più stavolta ho sentito il bisogno (analogo a quello provato per Antonioni che pure in un certo senso amo) di fare due conti con uno sguardo che non mi ha mai convinto. Bene, quando mi metto a scrivere un pezzo del genere, non mi pongo mai il problema di essere pro o contro, a favore o contrario. Non entro in questo gioco, semmai cerco di piegarlo all'esigenza di far trasparire qualcos'altro. Una sensazione, un momento, un'idea che poi può essere condivisa o meno, non mi interessa, ma comuque esistente, vitale, presente all'appello. Non mi interessa giudicare il cinema di Fellini che è deposto nei manuali (le playstation le lascio a chi continua a giocarci non sapendo di farlo, i Bignami a chi legge senza leggere), ma il mondo che c'è dentro, la vita forse, per aggrapparmi ad un'idea di cinema che mi rifiuto di rissumere nell'etichetta di "pensiero contro". La ragione del mio scritto non è quella (come ha invece scritto Davide) di incarnare l'opinione di un gruppo e di essere portavoce di uno sguardo, ma quella di riappropriarmi di un'immagine, di un contenuto, di un'impressione che qualcun'altro conserva gelosamente sotto vetro. Dividersi su Fellini è allora assolutamente normale, ma, ripeto, lo scopo del pezzo non era questo. E' dunque inutile continuare a dirsi indignati (per l'aver sparato contro Fellini, di fatto poi richiamandolo alla luce, discutendolo) o ammirati (per averlo riconsiderato sotto una luce diversa). Facciamo un gioco: riprendiamo il pezzo ed eliminiamo nomi e citazioni di opere. In mezzo c'è qualcos'altro.


Parliamone.


 


francesco r.

 


 


Amarcord Federico Fellini


L'articolo di Francesco Ruggeri


 


POLEMICHE – Fellini, Fellini… (1)
la prima parte degli interventi


 

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