Poliziotto in prova, di Tim Story

poliziotto in prova

In controluce si vede ben altro rispetto ad un buddy cop movie con poca azione e poche risate, perché Poliziotto in prova spinge, sgomita, sussurra il suo voler essere coloured, esponendo la bonaria e rotonda commedia poliziesca sopra altri input, output

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Forse, per pensare, scrivere, semplicemente vedere il cinema americano, tocca buttare a mare la bussola dell’autorialità, o meglio, il palinsesto unico che sfogliamo per orientarci di là dell’oceano, cioè la filmografia di questo o quel regista – che ci indica una sola forza vettoriale, unidirezionata, geopolitica, con la progressione blindata dalla periferia verso il centro, dall’indie verso il mainstream, da New York verso Los Angeles (gli ultimi in sala, Matt Bettinelli-Olpin, Tyler Gillett e La stirpe del male, Gareth Edwards e Godzilla, Bryan Singer e X-Men – Giorni di un futuro passato). Questa vela, svia, ci restituisce i contorni di un cinema che è sì industria e sistema, ma non monolitica e rigida come pensiamo, scriviamo, semplicemente vediamo di qua dell’oceano. Hollywood, pur in modo molto più arretrato rispetto anche ad un decennio fa, è sofisticata e strutturata nella dimensione di mercato, e questo non emerge scorrendo a mano le filmografie dei registi ma le filmografie degli attori, che ci restituiscono, queste sì, e in modo preciso, immediato, continuo, il profilo economico ed estetico, e sul lungo periodo, storico, del cinema statunitense (gli ultimi in sala o ai festival, Tom Hiddleston e Solo gli amanti sopravvivono, Robert Pattinson e Maps to the Stars, Tommy Lee Jones e The Homesman).

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E così anche una filmografia attoriale apparentemente atipica e lontana come quella di O’Shea Jackson, al secolo sui dischi e sui film Ice Cube, ci illumina su tante cose e per tanto tempo: in prima linea negli hood movies con la pietra miliare Boyz n the Hood, al centro degli stoner movies con la saga-cult di Friday (Ci vediamo venerdì, Next Friday, Friday After Next), co-protagonista per il David O. Russell di Three Kings e il Carpenter di Fantasmi da Marte, star d’azione di xXx 2 e Torque e, da sempre, il controcampo dei black movies come i due La bottega del barbiere. Un lavoro attoriale sempre ben orientato, che naviga tra vari sotto-generi con punte cicliche in grandi produzioni o film più autoriali, con un successo al seguito per almeno un ventennio. Un retroterra che ci fa guardare in controluce questo Poliziotto in prova.

 

James (Ice Cube), detective dell’Atlanta Police Department, assieme ai sodali Santiago (John Leguizamo) e Miggs (Bryan Callen), è da due anni che da la caccia al misterioso Omar, capo indiscusso della criminalità cittadina, spietato mastermind che nessuno ha mai visto in faccia. Ma James ha anche un altro problema, quello della sorella Angela (Tika Sumpter), o meglio, del ragazzo di lei, Ben (Kevin Hart), logorroica e casinista guardia privata che il nostro duro non ha mai sopportato. Per ottenere la benedizione del cognato, salendo di grado nella sua classifica di gradimento, Ben fa domanda all’accademia di polizia e viene preso. James allora, per metterlo alla prova fino a sabotarlo, gli propone di passare un giorno con lui di pattuglia. Si incontreranno, e si scontreranno, tra loro, con dei serbi, con Omar…

 

Il grafico di Poliziotto in prova: Tim Story, regista collaudato; due sceneggiatori (su quattro) come i sicuri Phil Hay e Matt Manfredi; Kevin Hart, attore e comedian salito al successo grazie alla longa manus di Judd Apatow; una colonna sonora con nomi quali Cypres Hill, C2C e Travis Barker; la distribuzione della Universal. L’amalgama su carta e su pellicola ha funzionato, tanto che con 150 milioni di dollari di incasso è già previsto un sequel in arrivo nel 2016. Ma in controluce si vede ben altro rispetto ad un buddy cop movie con poca azione e poche risate, statico, che sembra non partire mai e men che meno finire; perché è forte l’influenza della filmografia di cui sopra, con Ice Cube vero mastermind dell’operazione – altro che Omar… –, che va oltre l’aver prodotto il tutto con la sua Cube Vision. Poliziotto in prova spinge, sgomita, sussurra il suo voler essere coloured, esponendo la bonaria e rotonda commedia poliziesca sopra altri input, output, dalle classiche battute sui white buddies fino all’ambientazione ad Atlanta – città tra le più importanti per il movimento per i diritti civili, e che qui regna sovrana anche nella colonna sonora, con massicce infusioni di MC locali come Watch the Duck e 2 Chainz. Negli Stati Uniti questo non è passato inosservato, tanto che si è tornati a chiedere cosa sono, adesso, i black movies. Il film di Story è infatti il rovesciamento di un qualunque typecasting di un qualunque prodotto hollywoodiano, con Bruce McGill a fare il capo e John Leguizamo a fare il partner. L’operazione è quindi speculare, e diviene pura matematica se si pensa che originariamente il film doveva avere come protagonisti Dwayne Johnson e Ryan Reynolds – e pensate la ri-programmazione a cascata che si è scatenata quando il turnaround ha svoltato verso il gigante dei Niggaz With Attitudes. Il tutto mentre Obama è presidente, De Blasio è sindaco, 12 anni schiavo ha vinto l’Oscar, Spike Lee litiga con Tarantino.

 

 

Titolo originale: Ride Along

Regia di: Tim Story

Interpreti: Ice Cube, Kevin Hart, John Leguizamo, Tika Sumpter, Bryan Callen, Bruce McGill, Laurence Fishburne

Origine: Stati Uniti, 2014

Distribuzione: Universal Pictures

Durata: '99

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