Porcile, di Pier Paolo Pasolini

Una cupa riflessione su come le società siano portate a fagocitare gli individui eccentrici e in cui le uniche soluzioni sembrano essere l’anarchia totale o l’annientamento della persona.

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Due storie parallele, lontane nello spazio e nel tempo, ma ideologicamente complementari. Porcile di Pier Paolo Pasolini è un film sull’impossibilità di dissentire in una società cannibale, interessata soltanto ai profitti, che distrugge ed annienta tutte quelle personalità eccentriche che non sono disposte ad omologarsi al sistema.

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In un’Italia cinquecentesca non meglio definita, un vagabondo (Pierre Clémenti) si aggira tra le pendici dell’Etna dopo aver ucciso suo padre. Dedito al cannibalismo, raccoglierà un piccolo seguito di fedeli prima di essere arrestato dall’esercito e condannato ad essere divorato vivo dai cani selvatici. In un altro tempo, nella Germania del 1969, un giovane rampollo (Jean-Pierre Léaud) rifiuta di seguire le orme del padre, ricco industriale, contemporaneamente non si oppone apertamente questo. Amato da Ida (Anne Wiazemsky), Julian non è in grado di ricambiare il sentimento, in quanto innamorato dei maiali a cui si concede sessualmente nel porcile. Spinto da una vocazione al martirio, il ragazzo si lascerà divorare dagli amati animali.

Il film si costruisce su una serie di contrasti: da una parte gli opulenti spazi chiusi di villa Godesberg, in cui le persone si muovono come in una rappresentazione teatrale e utilizzano un linguaggio aulico e artefatto; dall’altra le lande desertiche dell’Etna, dove il cannibale corre sregolato e senza limiti, senza proferire parola. Gli ambienti rigorosamente geometrici della villa tedesca sono prototipo di quella villa in cui verranno rinchiusi e seviziati i giovani in Salò o le 120 giornate di Sodoma. La società razionalmente scandita, irregimentata nelle sue regole e imposizioni, è generatrice di mostri, in quanto essa è stata costruita in continuità con gli orrori del fascismo, rappresentati dal personaggio di Herdhitze (Ugo Tognazzi), gerarca nazista convertitosi in industriale.

Il simbolismo di una società animalesca, che divora assorbendo dentro di sé le personalità degli individui, entra oggi in dialogo con le riflessioni sul suicidio elaborate da Thomas Macho nel 2017, a partire dalla frase di Walter Benjamin «Il suicidio appare così come la quintessenza della modernità». In una società alienante, che schiaccia le singolarità a fronte di una logica unificatrice, nell’individuo Julian si crea un contrasto tra il suo Io percepito, desiderato, e l’Io imposto dal padre, dalla madre e, seppure involontariamente, da Ida. Questo scollamento porta prima ad uno stato catatonico, in cui il ragazzo, non riuscendo a comprendere come agire, smette del tutto di farlo. L’unica soluzione diventa allora la “vocazione al martirio”, nella società contemporanea «chi vuole prendere in mano la propria vita è alla fine costretto a togliersela». Anche il Cristo cannibale di Clémenti riesce ad affermare la propria identità soltanto attraverso un atto violento, di soppressione dell’Io. L’uccisione del padre e il cannibalismo, massima forma di ribellione alla società, portano alla rimozione dell’Io imposto in favore di quello percepito, per questo può affrontare la fine «tremando di gioia».

In Porcile, l’unica figura ad uscire positivamente dalla pessimistica riflessione di Pasolini sulle società è il popolano. Ninetto Davoli interpreta in entrambi gli episodi un personaggio che in virtù della sua semplicità e purezza, non intaccata dalla corruzione delle pretese della società, riesce a caricare su di sé la sofferenza e la diversità dei due condannati, diventando testimone del loro martirio.

Regia: Pier Paolo Pasolini
Interpreti: Pierre Clémenti, Ninetto Davoli, Jean-Pierre Léaud, Anne Wiazemsky, Ugo Tognazzi, Franco Citti, Alberto Lionello, Marco Ferreri, Margarita Lozano
Durata: 98′
Origine: Italia, 1969
Genere: drammatico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3.15 (20 voti)
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