Porco Rosso, di Hayao Miyazaki

Ancora una volta, Miyazaki innalza i propri eroi al di sopra di un universo imperfetto èd è anche il film che forse maggiormente rappresenta, il suo omaggio più personale alle culture lontane.

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“Questo film narra la storia di un maiale, soprannominato Porco Rosso, che si batte contro i pirati del cielo a rischio del suo onore, della sua donna e dei suoi beni, ambientata nel Mar Mediterraneo, all’epoca degli idrovolanti”. Come se un maiale antropomorfo che si guadagna da vivere inseguendo i pirati fosse la cosa più normale dl mondo, la breve didascalia che precede i titoli di testa ci introduce in una delle creazioni più fantasiose, anarchiche e libertarie realizzate da Hayao Miyazaki, fortunata e vivace commistione di elementi potenzialmente contradditori – la puntuale ricostruzione storica e l’atmosfera fiabesca, la riflessione esistenziale e la forma del divertissement, il dettaglio iperrealista e la dimensione onirica – che la poetica dell’autore nipponico fonde armonicamente in un’utopia sospesa nel tempo e nello spazio, dove il potere dell’immaginazione rende possibile superare una percezione del mondo sostanzialmente nostalgica e pessimista.

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L’era del passato incanto ha qui i confini azzurri del Mediterraneo, e il suo impavido cavaliere è un pilota dalle ibridi sembianze. Animale-simbolo tra i più ricorrenti nell’immaginario del regista nipponico, il maiale appare questa volta come risultato di un misterioso prodigio che ha tramutato il volto di un ex eroe di guerra, marcando in maniera visibile una diversità interiore già esistente: Marco Pagot, pilota mercenario senza patria né legge, in lotta contro una categoria di persone che come lui risponde solo a un proprio codice d’onore, ha sfiorato in volo il mistero della morte per poi trovare a terra un mondo mutato ed estraneo, e ha preferito all’omologazione (“Meglio maiale che fascista”) la solitudine fiera degli spazi aerei.

 

È dall’alto del suo idrovolante che Porco Rosso preferisce guardare il mondo, è solo da quel punto di vista privilegiato che le meschinità umane non possono offuscarne la bellezza: ancora una volta, Miyazaki innalza i propri eroi al di sopra di un universo imperfetto, ed evoca nelle avventure tra i cieli del suo protagonista l’anima profonda della propria fascinazione per il volo. Gli spettacolari combattimenti di Porco Rosso e l’elaborata costruzione del suo idrovolante rendono omaggio a un’epoca e celebrano il volo come espressione dell’arte e dell’abilità umane (non a caso, tra i tanti modelli riprodotti fedelmente, l’unico immaginario è proprio quello pilotato dal protagonista, per il quale Miyazaki ha inventato una sorta di sintesi ideale delle migliori creazioni di quel periodo), ma il desiderio di libertà, la ricerca di una pace interiore difficile da trovare tra gli uomini sono gli stessi che ispiravano le traiettorie di Nausicaä al di sopra della Foresta Tossica, e la suggestione sospesa tra realtà e sogno dei voli notturni di Mei e Satsuki in compagnia di Totoro rivive nella bellissima parentesi onirica dello scontro aereo in cui Marco, in fin di vita, vola tra i fantasmi degli aviatori caduti in guerra. Porco Rosso è il simbolo di questa riconquista dell’immaginazione, di questa tensione verso la meraviglia, e al tempo stesso di una riconciliazione con l’esistenza che, come sempre, passa attraverso l’elemento femminile.

Ma il film è anche l’opera di Miyazaki che forse maggiormente rappresenta, rispetto alle altre, il suo omaggio più personale alle culture lontane dalla propria. All’Italia certamente – un’Italia trasfigurata con affetto, realisticamente descritta e allo stesso tempo immaginifica –, ma non solo. Se il protagonista porta il nome di una famiglia di animatori e fumettisti italiani (Toni Pagot è il creatore di Calimero, insieme ai figli Marco e Gina Miyazaki ideò la serie animata Il fiuto di Sherlock Holmes), le sue gesta epiche rievocano quelle di uno dei più leggendari aviatori di tutti i tempi, Antoine de Saint-Exupéry, mentre i numerosi riferimenti al cinema classico hollywoodiano (l’impermeabile alla Bogart di Porco Rosso, l’eleganza da femme fatale di Gina, le ambizioni attoriali di Curtis) e ai pionieri dell’animazione (il cartone guardato in sala dal protagonista) sono una sentita dichiarazione d’amore verso il cinema come luogo primario dell’immaginazione.

 

Titolo originale: Kurenai No Buta
Regia: Hayao Miyazaki
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 94’
Origine: Giappone, 1992

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.6
Sending
Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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    Un commento

    • "Come se un maiale antropomorfo che si guadagna da vivere inseguendo i pirati fosse la cosa più normale dl mondo": La frase coglie nel segno quel sottile divertimento che mi accompagnò per tutto il film la prima volta che lo vidi!