"Posso e devo sperare che l'Onu abbia soluzioni sempre valide. E' terribile credere che l'unica alternativa sia la guerra. Credo ancora nel potere della diplomazia." Incontro con Sidney Pollack.

Dal premio Oscar Sidney Pollack, "The Interpreter" è un dramma intricato, sul filo del rasoio, ispirato all'attualità del terrorismo internazionale e ambientato fra i labirintici corridoi del potere della Nazioni Unite.

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Una carriera straordinaria alle spalle ma sicuramente questo è stato il film più difficile, girato all'Onu e non ricostruito: perché tanta fatica?

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Penso che il thriller abbia strutture e caratteristiche sempre difficili da ambientare. Era da molto tempo che non mi cimentavo in questo genere e avevo voglia di tornare. Ciò che mi ha colpito della storia è stato proprio il mondo delle Nazioni Unite, così come mi piace creare delle storie d'amore improbabili. E secondo me la cosa più bella di un amore è avvicinare due persone che non si somigliano in nulla e formare la coppia. Ho trovato quindi tre ragioni interessanti per portare avanti questo progetto: la politica internazionale dell'Onu, minacce e pericoli sul territorio americano di solito del mondo orientale e una storia d'amore tra due persone diverse.


 


Come si è reso possibile girare all'Onu? In passato è stata negata la possibilità a molti registi tra cui Alfred Hitchcock…


 


Sono sicuro che se oggi Hitchcock fosse vivo anche lui avrebbe l'opportunità di girare all'Onu. All'inizio mi era stato negato l'accesso ed io avevo accettato la decisione  cercando di mettere in scena ugualmente il film. Ma mi sono depresso a visitare gli ambienti che si sarebbero trasformati grazie alla tecnologia del computer. Allora ho fermato il progetto per ritentare dalle sfere più alte. Ci ho messo più di un mese prima di riuscire a trovare un contatto con Kofi Annan. Alla fine un mio amico uomo d'affari mi ha telefonato e mi ha passato l'ex senatore Bob Kerry, che a sua volta dopo un'ora mi ha fatto contattare da Kofi Annan. Mi ha detto che non pensava di poter fare qualcosa per me ma, insistendo Kerry, che era meglio incontrarsi personalmente e mi ha fissato un appuntamento. Avrei dovuto fermarmi solo una decina di minuti ma l'incontro durò alla fine più di mezz'ora, e Annan concluse che ci avrebbe pensato. Temevo di fare la figura del venditore: non volevo passare per quello che a tutti i costi voleva vendere il proprio film.


 


Ci sono stati problemi con l'Onu successivamente alla conclusione del film?


 

No, in realtà durante le riprese sono stato molto attento a tenere costantemente al corrente i miei riferimenti interni all'Onu delle scene che andavo registrando. A volte hanno fatto delle correzioni, ma solo perché la sceneggiatura in quei casi non rispecchiava la realtà. Potevamo girare solo il sabato e la domenica. Portavamo lì il nostro materiale il venerdì e terminate le riprese ce ne andavamo. Problemi maggiori si sono presentati con la sicurezza che generalmente sta attentissima a tutto e chiaramente grosse difficoltà ne ho avute per far passare le armi, cosa che nella realtà nel palazzo dell'Onu non potrebbero mai entrare.

Crede che l'Onu abbia la sua forza nell'equilibrio mondiale?


 


La cosa fondamentale è per me, come regista, cercare di capire soprattutto mondi che non mi appartengono. Il mio obiettivo con questo film era costruire un valido sostegno con la parola al di sopra delle armi. Al momento, secondo me, l'Onu  ha dei problemi: lo sanno e tutti e lo sa anche l'Onu stessa. Il punto è questo: è ancora possibile l'obiettivo fondamentale delle Nazioni Unite? Io non sono né un tecnico né un politico, posso e devo sperare che l'Onu abbia soluzioni sempre valide. E' terribile credere che l'unica alternativa sia la guerra. Credo ancora nel potere della diplomazia.


 


Però nel film non si parla della crisi dell'Onu…


 


Ero così felice di girare lì dentro che non volevo fare le domande sbagliate, me ne stavo buono nel mio set, giravo le mie scene e me ne andavo. Ma loro sono molto consapevoli dei problemi che hanno, lo leggiamo anche noi sui giornali ogni giorno. Ma quando ti trovi all'interno hai in mente la sensazione di quello che si voleva quando l'organizzazione è stata creata. Non sono una persona religiosa ma quando entro in una cattedrale ho la netta sensazione di cosa vuole dire essere religioso. E' la stessa sensazione palpabile quando si entra nel palazzo delle Nazioni Unite, ed era questo che volevo riportare nel film.


 


Quasi tutti gli attentati che avvengono nel mondo vengono subito in qualche modo attribuiti ad Al Qaeda, in questo film non capita.


 


Nel mio film non ho mai pensato di attribuire l'attentato ad Al Qaeda. Esiste al mondo un solo terrorismo e gli Stati Uniti sono molto presi in questo periodo da Al Qaeda tanto che ogni volta che scoppia una bomba è al primo gruppo che pensano. In questo film si parla di terrorismo e basta, dove un dittatore mette in scena un atto terroristico contro se stesso per dimostrare al suo popolo il suo valido impegno nel combatterlo.


 


Oggi il cinema documentaristico ci ha abituato ad una specie di cronaca in diretta…


 


L'argomento politico chiaramente è più difficile da inserire nei film di oggi perché lo spettatore è più giovanile e vuole l'azione. Ma io mi rivolgo ad un pubblico ampio. I miei film hanno spesso connotazioni politiche, ma devo sempre tener presente che il mio obiettivo è quello di dover intrattenere allo stesso livello tutto il mio pubblico.


 


 

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