Post Mortem, di Pablo Larraín

Una scena da POST MORTEM di  Pablo Larraín (in concorso Venezia 67)
Sul tavolo dell'autopsia c'è Salvador Allende, o uno dei tanti corpi che soccombono ai Poteri. Ma anche il cuore umano, la sua ostinazione a creare illusioni anche nello squallore quotidiano, in questo splendido film di Larraín che mostra la violenza della solitudine con bisturi e filo di sutura, raccontando tutti i tipi di guerra, compresa l'ossessione amorosa 

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Una scena da POST MORTEM di Pablo Larraín (in concorso Venezia 67)

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Larraín non perde tempo in chiacchiere: la macchina da presa insegue un carrarmato e guarda l’asfalto, a una guerra che sta per esplodere all’esterno corrisponde una guerra interiore. Mario è immerso nella sua grigia esistenza di funzionario, qualifica che finisce per declamare con orgoglio, nell’accecamento della sua ossessione amorosa. Però il suo ruolo, trascrivere le autopsie dei cadaveri, lo scaglia dritto nel dietro le quinte del golpe, e dentro il caos malato che sconvolge il suo paese germina anche la sua follia personale. Alfredo Castro è perfetto sempre nell’aderire alla vita metodica e disperata di uno qualunque. Uno che si cucina un uovo, si masturba, guida, e nella sua vicina di casa, una ballerina di locale da due soldi che fa il verso, amaro, al Moulin Rouge, si inventa una promessa di desiderio e di amore.

Letteralmente se la inventa, e quando questa speranza muore, alla fine del film abbiamo già assistito da tempo anche alla morte fisica di Nancy (Antonia Zegers, brava da far male) macilenta, non più giovane, ferita, autodistruttiva, abituata a nascondersi dietro stracci più tristi che sensuali, parrucche a basso prezzo, boa di struzzo spelacchiati. Eppure Mario supera i travestimenti, con quello slancio malato che ogni ossessione d’amore contiene; si disfa di una macchina, affronta il proprietario del locale che ha licenziato la ragazza, le usa delle cortesie da “gentiluomo”, la penetra con l’intensità che comporta un retaggio di anni, una vita intera di solitudine, o di dignitosa mediocrità, o semplicemente di assenza di passione. Piangono insieme, in una scena: ma si può dire che piangano da soli e si trovino per puro caso nella stessa stanza, tanto è il peso delle loro lacrime che non vanno nè condivise, nè raccontate: come se piangesse l’uomo o un popolo intero, per stanchezza e impotenza.

La politica, anche se il clima è rovente in Cile, non interessa nessuno dei due, nemmeno quando alla vigilia del golpe la casa della donna viene distrutta, la sua famiglia tolta di scena. Nancy sfugge alla cattura e si nasconde nella cantina del suo vicino di casa, per un istinto animale di sopravvivenza, più che per fiducia nell’unico uomo che in qualche modo è stato gentile con lei:l’uno continua a compiere meccanicamente i suoi doveri, anche quando improvvisamente comprendono il trasporto di mucchi di cadaveri e l’atmosfera del film cresce di tensione fino allo spasimo: come paralizzato nell’impossibilità di codificare ciò che sta avvenendo intorno a lui; l’altra, sembra non poter volere nulla, meno che mai l’amore, incapace di staccarsi dalla sua maschera di puttana triste, assente a se stessa, e in tanta assenza anche una prestazione, in cambio di sigarette o di una radio con le batterie, non merita il rispetto che si deve a una professionista, ma è un gesto come tanti.

La griglia del funzionario che compila diligentemente le storie di morte (perchè le autopsie sono il racconto di una verità che non può essere messa in discussione) comincia a cedere soltanto quando Mario, di giorno occupato a resistere all’orrore che lo circonda, messo letteralmente e simbolicamente di fronte al cadavere di Allende, forse suicida, e all’assenza di ogni speranza, perde anche quella nella sua invenzione colossale, che comprende una proposta di matrimonio in un ristorante cinese o il prendersi cura del cagnolino della sua non-amante, della sua amata dai vetri della finestra.

Sul tavolo dell’autopsia, è vero, c’è Salvador Allende, o uno dei tanti corpi che soccombono alla dittatura, ma anche il cuore umano, la sua ostinazione a creare illusioni anche nello squallore quotidiano, in questo splendido film di Larraín che prende le distanze dal dovere ipocrita di testimoniare a tutti i costi un evento storico complesso, come fosse un cadavere che porta addosso i segni precisi dell’accaduto. Post Mortem mostra la corsa schiacciasassi di tutti i Poteri, e lo fa con bisturi e filo di sutura; ma fra tutte le guerre che devastano il suo mondo, si ricorda di raccontare anche la violenza dell’ossessione amorosa, e quella della più ordinaria delle solitudini.

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