Premio Mario Gallo
Si svolgerà a Cosenza dal 31 ottobre al 3 Novembre la II edizione
Arriva in Italia il regista lituano Sharunas Bartas per ricevere il Premio Mario Gallo
Si svolgerà a Cosenza dal 31 ottobre al 3 Novembre la II edizione del Premio Mario Gallo, organizzato dalla Cineteca della Calabria , con il sostegno del Ministero dei Beni Culturali e il patrocinio della città di Cosenza. Dopo Marco Leto, Cecilia Mangini, e Luigi di Gianni, questa volta il Premio dedicato alla prestigiosa figura del produttore calabrese dei piu’ grandi maestri del cinema italiano del dopoguerra, sarà assegnato allo sceneggiatore Nicola Badalucco, al fotografo e documentarista Mario Carbone,al regista lituano Sharuna Bartas. Queste le designazioni del comitato scientifico del premio composto da Eugenio Attanasio, Giovanni Scarfò, Mariarosaria Donato, Maurizio Paparazzo, Giuseppe Scarpelli, Domenico Levato
Šarūnas Bartas (n.1964) è diventato il simbolo del cinema lituano dei tempi recenti. Nei suoi film, anche se frutto di una personalità enigmatica e introversa, si avvertono per intero le specificità della cinematografia nazionale. In essi la bellezza della forma coincide con le immagini di decadenza e l’umore malinconico diventa quasi un atteggiamento di estrema disperazione.
Laureatosi all’Istituto statale di cinematografia di Mosca nel 1991, Bartas si è ritrovato a lavorare in una Lituania che aveva da poco riacquistato l’indipendenza. Però la speranza di cambiamento non si avverte nemmeno nei suoi primi film. Il motivo ricorrente della sue opere cinematografiche è il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente, deformati da un passato e un presente struggenti o direttamente dalle leggi oscure della natura.
Tipica dei film del regista è sempre la stessa semplice storia. I personaggi partono, arrivano, si incastrano per un tempo indeterminato in un qualsiasi remoto posto del mondo; si perdono in un deserto o una steppa. Questo schema si slarga fino a dimensioni maestose, finché diventa una straordinaria riflessione sulla inattività e sull’ignavia. Perchè i personaggi di tutti film di Bartas sono apatici, inerti, osservati con indifferenza da una statica cinepresa. Nel film Koridorius ( Il Corridoio, 1995) essi si sono chiusi in stanze claustrofobiche. Stipati nella Namai ( A Casa, 1997) surreale essi diventano quadri belli e viventi. L’ambiente che circonda i personaggi è consumato e snaturato. Così è la città morta nel film Trys dienos ( Tre giorni, 1991) o il paesino miserabile dei nomadi della Siberia ( Mūsų nedaug, Lontano da Dio e dagli uomini, 1996). Nel film Septyni nematomi žmonės ( Sette Uomini Invisibili, 2005) esso è la palude melmosa dove si subiscono condizioni, emozioni e prove estreme. Nei film di Bartas la natura è piena di bellezza maestosa e indifferente e nel film Laisvė ( La libertà, 2000) le persone vive, nel quadro del deserto infinito, sembrano ancora più misere.In questi film non c’è una risposta di cosa potrebbe dare forza ad una persona debole.
Invece la storia di Bartas come regista testimonia non solo resistenza e capacità ad adattarsi e sopravvivere. Egli ha fondato il primo studio cinematografico indipendente in Lituania Kinema (1989), i suoi film sono stati proiettati e premiati nei migliori festival cinematografici del mondo e il lui stesso ha ricevuto la più alta onorificenza – il premio nazionale dell’arte e della cultura della Lituania. L’europa conosce il cinema di Bartas solo attraverso la partecipazione dei suoi film ai Festival ma il lavoro dell’artista resta pressoché invisibile al di fuori di questi circuiti, probabilmente perchè mal si sposa con una logica commerciale, che tende a lasciare da parte un cinema che si caratterizza, anche, per un suo ermetismo.Il cinema di Sharunas Bartas, , conserva la volontà documentativa di tanto cinema lituano. Non si tratta più di semplice uso del genere, ma di una vera e propria rivisitazione del documentario, attraverso uno sguardo poetico che getta mistero sul mondo ripreso. La realtà di riferimento è ovviamente quella in cui il regista è nato e cresciuto, ma il documentario è continuamente riformulato attraverso la poesia. Le immagini danno la sensazione di assistere ad una realtà inedita, frammentata, ricreata nell’assenza di precisi riferimenti spaziali e cronologici, per divenire soprattutto universo mentale. Si tratta di un cinema in cui vige il minimalismo narrativo, in cui le parole vengono rigettate per dar voce ai gesti, ai corpi, ai silenzi, ai vuoti, alle riprese fisse che fanno pensare ad un estetismo che ricerca la fotografia nel cinema. Ovviamente, per Bartas, non si tratta mai di puro estetismo, mai del piacere dell’immagine per l’immagine. Qui l’inquadratura diventa vero e unico spazio contenitore del mondo del regista. Ecco il perchè, allora, della cura dell’immagine attraverso i suoi elementi percettivi: la luce, il suono, la disposizione plastica degli elementi. Il cinema di Bartas è soprattutto un cinema di sensazioni, in cui i personaggi stessi si ritrovano privati di vite concrete per essere abbandonati alle proprie percezioni. E se ogni inquadratura lascia lo spettatore nella paura di tendere verso il nulla, questo avviene perchè per Bartas, questo, è l’unico cinema in grado di mostrare i personaggi così come il regista li intende.
Laureatosi all’Istituto statale di cinematografia di Mosca nel 1991, Bartas si è ritrovato a lavorare in una Lituania che aveva da poco riacquistato l’indipendenza. Però la speranza di cambiamento non si avverte nemmeno nei suoi primi film. Il motivo ricorrente della sue opere cinematografiche è il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente, deformati da un passato e un presente struggenti o direttamente dalle leggi oscure della natura.
Tipica dei film del regista è sempre la stessa semplice storia. I personaggi partono, arrivano, si incastrano per un tempo indeterminato in un qualsiasi remoto posto del mondo; si perdono in un deserto o una steppa. Questo schema si slarga fino a dimensioni maestose, finché diventa una straordinaria riflessione sulla inattività e sull’ignavia. Perchè i personaggi di tutti film di Bartas sono apatici, inerti, osservati con indifferenza da una statica cinepresa. Nel film Koridorius ( Il Corridoio, 1995) essi si sono chiusi in stanze claustrofobiche. Stipati nella Namai ( A Casa, 1997) surreale essi diventano quadri belli e viventi. L’ambiente che circonda i personaggi è consumato e snaturato. Così è la città morta nel film Trys dienos ( Tre giorni, 1991) o il paesino miserabile dei nomadi della Siberia ( Mūsų nedaug, Lontano da Dio e dagli uomini, 1996). Nel film Septyni nematomi žmonės ( Sette Uomini Invisibili, 2005) esso è la palude melmosa dove si subiscono condizioni, emozioni e prove estreme. Nei film di Bartas la natura è piena di bellezza maestosa e indifferente e nel film Laisvė ( La libertà, 2000) le persone vive, nel quadro del deserto infinito, sembrano ancora più misere.In questi film non c’è una risposta di cosa potrebbe dare forza ad una persona debole.
Invece la storia di Bartas come regista testimonia non solo resistenza e capacità ad adattarsi e sopravvivere. Egli ha fondato il primo studio cinematografico indipendente in Lituania Kinema (1989), i suoi film sono stati proiettati e premiati nei migliori festival cinematografici del mondo e il lui stesso ha ricevuto la più alta onorificenza – il premio nazionale dell’arte e della cultura della Lituania. L’europa conosce il cinema di Bartas solo attraverso la partecipazione dei suoi film ai Festival ma il lavoro dell’artista resta pressoché invisibile al di fuori di questi circuiti, probabilmente perchè mal si sposa con una logica commerciale, che tende a lasciare da parte un cinema che si caratterizza, anche, per un suo ermetismo.Il cinema di Sharunas Bartas, , conserva la volontà documentativa di tanto cinema lituano. Non si tratta più di semplice uso del genere, ma di una vera e propria rivisitazione del documentario, attraverso uno sguardo poetico che getta mistero sul mondo ripreso. La realtà di riferimento è ovviamente quella in cui il regista è nato e cresciuto, ma il documentario è continuamente riformulato attraverso la poesia. Le immagini danno la sensazione di assistere ad una realtà inedita, frammentata, ricreata nell’assenza di precisi riferimenti spaziali e cronologici, per divenire soprattutto universo mentale. Si tratta di un cinema in cui vige il minimalismo narrativo, in cui le parole vengono rigettate per dar voce ai gesti, ai corpi, ai silenzi, ai vuoti, alle riprese fisse che fanno pensare ad un estetismo che ricerca la fotografia nel cinema. Ovviamente, per Bartas, non si tratta mai di puro estetismo, mai del piacere dell’immagine per l’immagine. Qui l’inquadratura diventa vero e unico spazio contenitore del mondo del regista. Ecco il perchè, allora, della cura dell’immagine attraverso i suoi elementi percettivi: la luce, il suono, la disposizione plastica degli elementi. Il cinema di Bartas è soprattutto un cinema di sensazioni, in cui i personaggi stessi si ritrovano privati di vite concrete per essere abbandonati alle proprie percezioni. E se ogni inquadratura lascia lo spettatore nella paura di tendere verso il nulla, questo avviene perchè per Bartas, questo, è l’unico cinema in grado di mostrare i personaggi così come il regista li intende.
Mario Carbone, nato a San Sosti (Cosenza), nel 1924, giovanissimo apprende il mestiere di fotografo svolgendo un lungo apprendistato in diversi laboratori professionali, il suo successivo trasferimento a Milano segna in lui la nascita di un interesse per la cronaca e la documentazione che si fa ancora più convincente nel 1955 con l’arrivo a Roma è l’avvio di un’intensa, quanto impegnativa, attività documentaristica in campo cinematografico.
Nel 1960 è in Lucania in compagnia di Carlo Levi per visitare i luoghi del romanzo autobiografico Cristo si è fermato ad Eboli. Le immagini realizzate durante questo viaggio confermano la sua propensione per una fotografia di indagine sociale.
Nel 1960 è in Lucania in compagnia di Carlo Levi per visitare i luoghi del romanzo autobiografico Cristo si è fermato ad Eboli. Le immagini realizzate durante questo viaggio confermano la sua propensione per una fotografia di indagine sociale.
Nicola Badalucco (Milano, 13 maggio 1929) è uno dei piu’ apprezzati sceneggiatori.Trasferitosi in gioventù a Trapani, si laurea in Giurispudenza a Palermo. Nel 1954 si trasferisce a Roma, per dedicarsi al giornalismo, e inizia come critico cinematografico su l'Avanti. Nel 1969 inzia la carriera di sceneggiatore con "La Caduta degli Dei" con cui è subito candidato all'Oscar nel 1970. Si dedica poi anche alle fiction. Ha insegnato drammaturgia cinematografica al Centro Sperimentale di Cinematografiaha scritto le seguenti sceneggiature: 1969 La caduta degli dei, regia di Luchino Visconti, nomination all'Oscar per la migliore sceneggiatura originale ;La tenda rossa, regia di Michail K. Kalatozov 1971 Morte a Venezia, regia di Luchino Visconti; Roma bene, regia di Carlo Lizzani ;1972 Bronte: cronaca di un massacro, regia di Florestano Vancini ;Torino nera, regia di Carlo Lizzani ;1973 Piedone lo sbirro, regia di Steno Il suo nome faceva tremare, regia di Michele Lupo ;1974 Uomini duri, regia di Duccio Tessari La poliziotta, regia di Steno 1975; Libera, amore mio…, regia di Mauro Bolognini ;Baby sitter, regia di René Clement Due cuori, una cappella, regia di Maurizio Lucidi 1976 La banca di Monate, regia di Francesco Massaro La croce siciliana, regia di Maurizio Lucidi Bruciati da cocente passione, regia di Giorgio Capitani L'Agnese va a morire, regia di Giuliano Montaldo 1977 Io ho paura, regia di Damiano Damiani Goodbye & amen, regia di Damiano Damiani Gran bollito, regia di Mauro Bolognini 1978 Circuito chiuso, regia di Giuliano Montaldo 1979 Un uomo in ginocchio, regia di Damiano Damiani Il concorrente, regia di Vittorio Sindoni 1980 L'avvertimento, regia di Damiano Damiani 1981 Il turno, regia di Tonino Cervi 1982 La quinta donna, regia di Alberto Negrin (fiction TV) 1983 Il corsaro, regia di Franco Giraldi (fiction TV) 1984 La piovra, regia di Damiano Damiani (serie TV) 1985 Io e il duce, regia di Alberto Negrin (fiction TV) 1986 Mosca addio, regia di Mauro Bolognini 1987 Gli occhiali d'oro, regia di Giuliano Montaldo Se un giorno busserai alla mia porta, regia di Luigi Perelli, (fiction TV) 1988 Il segreto del Sahara, regia di Alberto Negrin 1991 Rossini! Rossini!, regia di Mario Monicelli 1992 L'Atlantide, regia di Bob Swaim 1994 Il placido Don, regia di Sergej Fëdorovič Bondarčuk 1995 Non parlo più, regia di Vittorio Nevano 1997 Nessuno escluso, regia di Massimo Spano 1999 Die Schuld der Liebe, regia di Andrea Gruber 2002 Maria Josè, l'ultima regina, regia di Carlo Lizzani (fiction TV) 2003 Madre come te, regia di Vittorio Sindoni (fiction TV)La manifestazione avrà inizio giorno 31 di ottobre alle ore 17,30 presso la Biblioteca Nazionale di Cosenza con l’inaugurazione della Mostra :Mario Carbone / Sud del mondo, cui seguirà la proiezione di alcuni dei suoi documentari più significativi.Giorno 1 di Novembre sarà la volta del Cinema di sharunas Bartas , che alle 18,30 presso il cinema S.Nicola di Cosenza incontrerà il pubblico dopo la proiezione di Lontano da Dio e dagli uomini..Quindi la mattina del 3 Bartas e Carbone incontreranno gli studenti del DAMS e nel pomeriggio alle ore 18,00 presso il ridotto del Tearo Rendano di Cosenza, riceveranno dalle autorità presenti, unitamente a Nicola Badalucco il Premio Mario Gallo