Prima ti smonto il genere, poi lo rovino

La commedia sofisticata è l'ultimo oggetto d'attenzione dei fratelli Coen. Ma il gioco sui generi è debole e fa davvero rimpiangere la gloriosa tradizione anni '40. Molto più onesta, a questo punto, la commedia romantica degli anni '90. Meglio Julia Roberts…

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Pochi mesi fa è venuta a mancare Katherine Hepburn, regina della sophisticated comedy anni '30 e '40. Non pretendiamo (ma ci piacerebbe tanto) che sia facile ricreare la dialettica che univa Katherine Hepburn a Spencer Tracy, o ad altri partner (da James Stewart a Cary Grant), o altre coppie che ornavano di maliziosa ironia le commedie più scintillanti della Hollywood in bianco e nero (da Clark Gable/ Clodette Colbert a Cary Grant/ Myrna Loy). Ma quando si vuole rendere omaggio ad un genere basato più di tutto sulla dinamica di coppia la scelta degli attori deve essere quanto meno oculata. Basta uno sguardo a Katherine Zeta Jones per capire che con quel genere non c'entra nulla. Ed è un peccato, dato che George Clooney sembra nato per indossare i panni dell'avvocato dispettoso e linguacciuto, ma incapace di nascondere un sottostrato romantico, addirittura all'antica.

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Del resto la vocazione di Clooney per la commedia sofisticata si era già messa in luce almeno dai tempi di Un giorno, per caso (Michael Hoffman, 1997). Ampiamente sottovalutato, questo film è un omaggio molto più riuscito e sincero al genere "guerra dei sessi" dell'ultima opera dei fratelli Coen. È la storia di due genitori single e in carriera che non si sopportano, ma per una giornata sono costretti a gestire i rispettivi figli che hanno dimenticato di portare alla gita scolastica. Nell'arco di meno di 24 ore i due sfrecciano in una New York "ricca ma romantica" (come il genere impone, senza eccezioni, soprattutto salendo verso le declinazioni attuali, dall'Allen d'annata alla migliore Nora Ephron), tentando maldestramente di gestire gli obblighi delle carriere rampanti senza trascurare le esigenze dei piccoli. L'atmosfera anni '40 è conservata con stile, e l'irruzione di telefonini e tv aggiorna l'azione senza snaturarne il ritmo estetico. Le componenti ci sono tutte, così come gli umori: "lei" (interpretata da Michelle Pfeiffer "bella e fredda" al punto giusto) è diffidente e ostile, determinata a dimostrare la sua indipendenza, "lui" è ovviamente un giornalista dongiovanni con la faccia da schiaffi. Gli ingredienti sentimentali (solitudine dei genitori, bisogno di tenerezza dei figli) sono stemperati nei dialoghi vivaci, nelle inevitabili goffaggini dei genitori, nelle facce dei bambini, e soprattutto nell'inversione del loro ruolo stereotipo. "Lui" è il piccolo pauroso sempre a un passo dalla lacrima, "lei" è sicura e impertinente. Così anche la scelta dei bambini (sempre deliziosi, mai stucchevoli) strizza l'occhio con gentilezza alla guerra dei sessi e allo stravolgimento che la determinazione femminile negli anni '40 spiazzava non poco la fragile identità maschile. E il film scorre leggero fino al finale, con una tensione sentimentale sempre rimandata, con una schermaglia sessuale mai esplicita, con il rifiuto di qualsiasi forma di volgarità. Ecco, questo è un omaggio onesto.

 


Ora, che i Coen amino giocare con i generi è indubbio. Che se lo possano permettere, è questione di opinioni. Che questo consenta qualsiasi tipo di stravolgimento, non solo richiede una maestria totale, ma è davvero necessario? In tempi di contaminazioni a tutto tondo, post-modernismo da supplemento domenicale e libero mercato del citazionismo, perché andare a toccare, anzi intaccare, un genere così riservato e codificato nelle sue regole di formale eleganza come la commedia sofisticata, pace all'anima sua?


Prima ti sposo, poi ti rovino prende l'intelaiatura della sophisticated comedy (ambiente avvocatizio, rivalità che sfocia in amore, situazioni surreali e dialoghi brillanti) e gioca la carta dello smontamento dall'interno. Comincia con la scelta di Catherine Zeta Jones nel ruolo della protagonista: affiancarla a un attore perfettamente in ruolo come Clooney non può essere casuale. In questo contesto la fisicità della Zeta Jones è una contraddizione in termini. Il trucco esasperato, lo sguardo da richiamo sessuale eseguito al megafono e la carnalità rotonda negano in una sola apparizione l'understatement carico di allusiva malizia dell'eroina da sophisticated comedy. Non è solo questione di una scollatura generosa contro le spalle angolose di Katherine Hepburn in Scandalo a Filadelfia. Sono due sopracciglia perennemente appuntate su un'espressione estrema contro lo sguardo severo di Mirna Loy ne L'intraprendente signor Dick. O le tinte sgargianti di abito e rossetto contro la volgarità divertita e ingenua della Jean Harlow di La donna del giorno. E il cane grosso e comico che morde Clooney, contro i dispettucci bisbetici del "co-protagonista" di L'orribile verità.


 

Poiché crediamo che la ricerca filologica (anche perché trattasi di cultura ampiamente disponibile) non sia sfuggita ai Coen, è chiaro che questo sfasamento dell'immagine femminile verso l'irruzione di una carne e una serie di tinte ben più sfacciate di quelle richieste dal genere è frutto di scelta programmatica. Anche perché il corpo fuori contesto della protagonista femminile trova subito richiami in tutto il resto del film. Verbali (la parola "trombata" compare a pochi minuti dall'inizio, ricordiamo al gentile lettore che siamo dentro la confezione di una commedia sofisticata), visive (kitsch che irrompe da ogni angolatura), contestuali (il finale che si chiude in uno sgangherato talk show). Così il film dei fratelli trascina con sadismo la sophisticated comedy nel contesto del mondo reale, iperreale, anzi inguardabile. Non solo, fin dalle prime palme e dall'irruzione di una decapottabile la trasferisce via da New York, non solo sposta l'azione dagli interni altoborghesi e metropolitane a un tripudio di villone e piscine. Il setting è violentato definitivamente quando l'ambientazione si sposta a Las Vegas, in caso ci fossero dubbi residui sul fatto che stiamo parlando di decostruzionismo fatto con cognizione di causa.


Manca però la coerenza in quest'opera di smantellamento, e manca l'amore. Parliamo di amore per i personaggi, che qui diventano pedine usate non con cinismo (potrebbe andarci bene), ma con trascuratezza. E per il genere, che non si ha il coraggio né di aggiornare né di ripudiare del tutto. Se infatti la brutalità di commedie altre (demenziali, satiriche) e di contesti allargati può comunque essere vissuto come un arricchimento, l'operazione non è mai portata avanti fino in fondo. Potremmo leggere il talk show televisivo del finale come la versione attuale della redazione scandalistica in cui si ambientavano tante commedie del tempo che fu. Ma non possiamo leggere la musica romantica che puntella il primo bacio tra Clooney-Zeta Jones come un gioco estremamente ironico. "Marchetta", qualcuno ci suggerirebbe. Vogliamo esser buoni, e pensare a una piccola concessione alle regole di genere. Peccato che qui si sia virato verso il genere sbagliato. Al limite, il richiamo musicale e "l'agognato bacio" potrebbero rimandare alla commedia romantica anni '80-'90, un'altra storia, altre regole, altro contesto.

Peraltro si tratta di tipo di commedia che vanta un artigianato solido e alcune perle (a parte l'ovviamente eccezionale Harry ti presento Sally e il filone di derivazione alleniana, il recente Il matrimonio del mio migliore amico mostra come anche un'icona commerciale come Julia Roberts possa essere usata in una rievocazione ineccepibile della screwball comedy) che lo rendono più meritevole dell'angolo critico in cui è di solito relegato da pubblico "pensante" e target pubblicitario. E anche nella commedia anni '90 il bacio è un argomento delicato. Ma nella commedia sofisticata classica – che sia del matrimonio, del ri-matrimonio o della guerra dei sessi – si può dire che è quasi vietato, o almeno destinato al finale.


E se l'intento dei fratelli è la trasposizione giocosa con trascinamento di segni assolutamente vietati dalla sophisticated comedy (sesso più o meno esplicito, irruzione della luce del sole, della plastica, di coscienza di classe e di cultura beceramente popolare), allora non ha senso immettervi inserti di omaggio pedissequo (come la scena in tribunale, peraltro la più riuscita e divertente). I Coen si affidano al dialogo, ma parzialmente. Alla sceneggiatura, ma con debolezza. Al carisma dell'attore, ma ne funziona solo uno su due. All'intersezione dei piani, ma senza identità.  Così Prima ti sposo poi ti rovino non solo gira intorno al genere screwball, ma al suo stesso gioco sui generi. Gira intorno a sé stesso, ma si ha la sensazione che giri a vuoto. Ci viene un dubbio. E se la "intolerable cruelty" del titolo originale fosse rivolta alla commedia sofisticata, e ai suoi amanti?

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