Primo amore, di Dino Risi

Una fase dove il cinema di Risi si volge indietro. Spettrale come Anima persa, un film sulla fine del desiderio. Dove Tognazzi è sublime nel caricarsi di ridicolo. Domattina, ore 6.55, Rai Movie

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Forse è solo una coincidenza, ma Primo amore è un titolo molto utilizzato dal cinema italiano. Da Mario Camerini (1958) a Matteo Garrone (2004). Senza considerare quello statunitense di George Stevens (in originale era Alice Adams) con Katharine Hepburn. Anzi, in realtà la pellicola avrebbe anche un altro titolo: Primo amore di Dino Risi. Forse per differenziarlo da quello di Camerini. oppure perché qui c’è un soggetto (dello stesso regista e di Ruggero Maccari) che sta particolarmente a cuore al cineasta: quello della perdita del successo e degli artisti che cadono nel dimenticatoio.

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Uno di questi è Ugo Cremonesi, in arte Picchio (Ugo Tognazzi), un ex-comico di avanspettacolo che decide di soggiornare temporaneamente presso un ospizio per artisti in attesa di un assegno con gli arretrati della pension

e. Lì entra in conflitto con il direttore (interpretato dal famoso tenore Mario Del Monaco) e si innamora della cameriera Renata (Ornella Muti). Quando il denaro arriva, fugge con lei a Roma e Capri. Spera in un amore sincero mentre lei ha aspirazioni da soubrette. E dilapida gran parte dei soldi.

Primo amore è un film sulla malinconica e anche patetica ricerca del proprio passato. Che filma le ombre della morte. E, nel finale, sembra trasformare Tognazzi in una specie di spettro anticipando quasi quello di Romy Schneider in Fantasma d’amore (1981). L’ultimo sguardo tra i due protagonisti al bar. E soprattutto il ritorno nella casa di riposo. Non più vitale come all’inizio. Ma ora vuota e spettrale. Avvolta dal nero. Lo stesso di Anima persa. Sempre creato dalla fotografia di Tonino Delli Colli.

Comincia per il cinema di Risi una fase dove si volge indietro. E guarda al passato. Non c’è più l’euforia del boom di Il sorpasso (1962). Che anche lì poi si è rivelata illusoria. Ma quell’amarezza di quello che forse è il suo miglior film, Una vita difficile (1961), combinato con un sentimentalismo non sempre controllato. Ma di questa fase del suo cinema, Primo amore costituisce proprio con Anima persa e La stanza del vescovo – realizzati proprio tra il 1976 e il 1977 – una delle fasi migliori. La penultima prima di Fantasma d’amore. E gioca ancora sul desiderio di un’amore impossibile. Picchio e Renata sono come Temistocle e Matilde in La stanza del vescovo. Ma il loro rapporto difficile, conflittuale, destinato alla fine, richiama anche quello tra il metalmeccanico Giulio e  Vincenzina di Romanzo popolare (1974) di Mario Monicelli. E in tutti e tre i casi i protagonisti sono proprio Ugo Tognazzi e Ornella Muti. I personaggi interpretati dai due attori ogni volta ricostruiscono la loro storia. E qui già il primo dialogo tra i due, c’è il tentativo di seduzione da parte di lui. E la diffidenza da parte di lei. “Caffè e possibilmente un sorriso”. Sono le prime parole che Picchio dice alla cameriera la prima volta che la vede.

Forse ogni tanto Risi si spinge nelle zone di visioni felliniane. Come la forma della sirena creata sulla spiaggia. E appaiono troppo esplicite le corrispondenze in cui il suo personaggio rischia di fare la fine del protagonista di L’angelo azzurro (1930) di Josef von Sternberg. “Non farò la fine del professor Rath” dice Picchio a Renata in una stanza d’albergo dopo che si è rifatto il look per ringiovanirsi. Però sa che il rischio del ridicolo è sempre dietro l’angolo. E Primo amore sa essere davvero crudele. Come il matrimonio della donna dell’est che ospita un anziano dell’ospizio per ottenere la cittadinanza italiana e poi se ne va subito alla fine delle nozze. O la scena in trattoria dove un cliente cerca di provarci con lei davanti agli occhi di Ugo, spacciato per lo zio. Ma sprattutto l’imitazione di Totò da parte di Picchio. Dove Renata non ride più. Solo il figlio, un pittore fallito, cerca invano di partecipare allo spettacolo del padre.

E il finale lascia il segno. Se ne va un mondo. Quello dell’avanspettacolo. Ma lo stesso Risi è consapevole come se un certo cinema è perduto. Con l’arrivo della volgarità di alcune trasmissioni delle tv private. E le stesse attese, come quelle della notte nella hall in albergo, prolungano un’illusione che poi si sgretola. Un cinema già funereo. Forse tra quelli del cinema di Risi da riscoprire. Dove Tognazzi è sublime nel caricarsi di ridicolo. Quasi il prolungamento del balletto sul tavolo di Io la conoscevo bene (1965) di Antonio Pietrangeli). E un film, definitivo sulla fine del desiderio: dell’amore, della vita.

 

Regia: Dino Risi
Interpreti: Ugo Tognazzi, Ornella Muti, Mario Del Monaco, Caterina Boratto, Riccardo Billi, Marina Frajese
Durata: 117′
Origine: Italia 1978
Genere: drammatico

 

 

 

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