PROFILI – Henry Fonda, the wrong man
Cento anni fa nasceva Henry Fonda: ecco un breve profilo dell'attore che, attraverso l'incarnazione di personaggi, comuni e non, in lotta contro l'ingiustizia, armati solo di coraggio e tenacia, aiutò l'americano medio a costruire un'immagine di sé e della propria nazione.
Caughnawaga, si chiamava in origine nella lingua Mohawk: un villaggio fondato in territorio algonchino dalla tribù Mohawk della nazione Irochese, a nord di New York. Era la metà del 1600, e dopo uno scontro tra indiani e colonizzatori il villaggio cambiò nome, in memoria di uno degli europei che finì scalpato nel luogo in cui avrebbero dovuto materializzarsi le sue speranze di un futuro radioso. Quel viso pallido si chiamava Douw Fonda, veniva dall'Olanda, ed era un progenitore di Henry "Hank" Fonda.
Nel 1982, dopo la morte dell'attore, il lento fluire di un'informazione allora al riparo dalle frenesie di email e blog fu occupato, nel nostro paese, da qualche osservazione circa le possibili origini italiane di quella che era senza dubbio una delle icone del cinema hollywoodiano. Il suo volto scavato dalla malattia non perdeva fascino, accanto a quello ugualmente attraente della quasi coetanea Katharine Hepburn, sul set di Sul lago dorato: ma poco tempo dopo la fine delle riprese, Hank se ne andò. La figlia Jane, in un suo libro di aerobica, si premurò dopo pochi mesi di ragguagliare ginnasti alle prime armi sulle origini olandesi della famiglia, ma non riflettè sulla possibilità che il proprio cognome avesse qualche origine latina. Nella sola Trieste, ad esempio, il cognome Fonda è portato da centinaia di famiglie: e si sa, quello italiano è un popolo migrante per natura; forse un istriano era emigrato in Olanda e di lì i Fonda erano partiti per l'altra sponda dell'Oceano Atlantico. Il fratello di Jane, Peter, dichiarò in un'intervista televisiva che i suoi antenati erano genovesi; altre fonti li vogliono passati per
Radici, famiglia, origini… "Ora Tom mormora: madre, ovunque ci sia un poliziotto che picchia un uomo, ovunque ci sia un neonato che piange, ovunque qualcuno lotti contro il sangue e l'odio, guardati intorno e mi vedrai – se un uomo combatte per un posto in cui vivere, per un lavoro decente o per avere un aiuto, se qualcuno lotta per la propria libertà, guardalo negli occhi, madre, e vedrai me". Non è difficile pensare che Bruce Springsteen, nel 1995, abbia potuto riscrivere le parole di Steinbeck avendo nitido, di fronte a sé, il fantasma di Henry Fonda; che abbia cantato quella canzone con lo spirito di Nebraska, conscio che quel rettangolo di terra piantato nel cuore degli Stati Uniti era la patria dell'attore. E non è difficile neanche immaginare che se il Tom Joad di Furore aveva avuto da Fonda carne, sudore e sangue reali, era stato per la forza del sentimento che legava l'attore alle origini migratorie e coloniche della propria famiglia. Lo stesso John Ford, l'anno precedente, aveva diretto l'attore ne La più grande avventura, titolo originale Drums along the Mohawk: i tamburi rullavano per Fonda, sulle sponde del fiume che scorreva vicino al villaggio che portava il suo nome…
Fonda era stato riluttante, nel firmare il contratto che lo avrebbe legato per parecchi anni alla Twentieth Century Fox; era nato indipendente, e indipendente voleva rimanere. Ma la spinta necessaria venne dal sapere che Zanuck, il padrino della casa di produzione, aveva ottenuto i diritti per Furore, il romanzo epico del coevo Steinbeck che, uscito da poco, aveva avuto un immediato ed enorme successo critico (come anche molti detrattori, preoccupati dalle derive comuniste del testo). Chissà, dovette chiedersi Hank, quando avrebbe avuto un'altra occasione per interpretare un personaggio così vicino al mito, il protagonista di uno dei più promettenti prodotti della letteratura statunitense: lui, la persona sbagliata, il ragazzo che voleva fare il giornalista ma si ritrovò a fare lavoretti d'ufficio in un teatro di Omaha, a salire per scherzo sul palcoscenico e recitare prima da dilettante, poi sempre più seriamente, tanto da arrivare a Broadway e poi ad Hollywood.
Le origini, il mito della frontiera: Henry Fonda era nato per il western. Una ventina di titoli del genere nel suo curriculum, tra i quali è reato non ricordare Alba fatale di William Wellman, Sfida infernale e Il massacro di Fort Apache, di John Ford, C'era una volta il West di Leone e Il mio nome è nessuno di Tonino Valerii. Ma un'altra settantina di film, in quarantasei anni di vita dedicata al cinema, hanno fatto di Henry Fonda lo strumento indiretto della creazione di un moderno senso di appartenenza alla "home of the brave"; uno dei volti del cinema hollywoodiano che più aiutarono l'americano medio a costruire un'immagine di sé e della propria nazione, attraverso l'incarnazione di personaggi, comuni e non, in lotta contro l'ingiustizia, armati solo di coraggio e tenacia. Il suo fu il volto di Lincoln, di Roosevelt, di Nimitz, di MacArthur, di Wyatt Earp, ma anche di Tom Joad, di Mr. Davis, giurato n°8 de La parola ai giurati, di Manny Balestrero de Il ladro, come di tanti altri uomini qualunque, alle prese con il bene ed il male, con la vita e la morte. Perfino la follia del generale Thursday de Il massacro di Fort Apache, alter-ego del generale Custer, filtrata attraverso il corpo di Fonda – e la messinscena di Ford – assunse quasi un'aura epica: come se si trattasse della "normale" e perdonabile deviazione dal mito americano di un uomo che non accettava il tramonto del proprio sole.
Fonda costruì così, con incedere e gestualità di raffinata eleganza, un monumento all'americano perbene che i suoi figli famosi, Jane e Peter, cercarono in tutti i modi di far crollare. Se da una parte Hank si arruolò in Marina nella Seconda Guerra Mondiale, guadagnandosi perfino una Stella di Bronzo ed un encomio presidenziale, sua figlia meritò il soprannome di "Hanoi Jane" in Vietnam, facendosi fotografare ad Hanoi su un mezzo antiaereo dei vietcong, durante un appello ai propri connazionali per cessare il fuoco; Peter, da parte sua, non mancò di descrivere gli effetti dell'LSD in un film di Roger Corman (Il serpente di fuoco, 1967), diventando così spunto per una canzone dei Beatles…
Ma il tempo è (quasi) sempre il miglior medico e le ferite adolescenziali che i piccoli Fonda dovettero sopportare, da un padre descritto come freddo ed assente, trovarono definitiva sutura, com'è naturale in una famiglia di attori, sul set: il cameo di Hank nel film in cui Peter era regista e protagonista (Wanda Nevada, 1979) e, soprattutto, la performance di padre e figlia nei medesimi ruoli in Sul lago dorato, di Mark Rydell (1981), stabilirono la riconciliazione tra l'ormai anziano mostro sacro di Hollywood e la sua famiglia. Ma a volere un Fonda diverso c'era stato anche Sergio Leone, che lo volle bastardo assassino in C'era una volta il West: e forse nella sequenza dello sterminio della famiglia, Henry Fonda – cinque mogli e tre figli – si divertì davvero…