PROFILI – "Il più simpatico degli inclassificabili": Philippe Noiret (3a parte)

In occasione della scomparsa di Philippe Noiret vi proponiamo questo appassionato saggio che Aldo Tassone, direttore di France Cinéma, ha pubblicato nel catalogo del festival in occasione della 21a edizione che si è svolta a Firenze dal 30 ottobre al 5 novembre 2006. Per questa occasione France Cinéma aveva omaggiato Noiret con una retrospettiva

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di Aldo Tassone

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Autoritratto


Cosa pensa e dice di sé Philippe Noiret? Nell'antologia-mosaico di sue dichiarazioni (vedi sezione "Il cinema e la vita secondo Philippe") l'attore ci offre una sorta di involontario autoritratto intimo. «Non sono un gran lettore di libri di filosofia, ma una filosofia della vita me la son fatta», esordisce (vedi il capitolo "Le cose che amo e detesto"). Questa filosofia si può riassumere in poche formule pungenti. Come queste. «Solo la salute e l'amore sono importanti nella vita, il resto si aggiusta… Voglio dedicarmi interamente a quello che faccio, ma senza puntare tutto solamente sul mestiere, che deve rappresentare solo la metà della mia vita; dopotutto un film non è che un film… Continuare a tracciare pazientemente il proprio solco, evitando di disperdere inutilmente energie.» «Vivo ritirato vicino a coloro che amo, immerso nella natura tra i miei cavalli e i miei cani. La pigrizia è la madre di tutte le virtù… Leggo moltissimo, mi sento interessato a tutto meno che alla politica francese». «Mi considero di sinistra, ma non sono schierato: non ho nessun messaggio da trasmettere, nessuna lezione da dare, tanto meno alla televisione, che odio cordialmente. Rivendico il mio statuto di saltimbanco, il diritto alla frivolezza. Non ho il gusto della trasgressione, forse sono troppo banale per essere un grande artista, ma sono un buon artigiano. Far bene e lasciar dire…. La sola associazione cui appartengo è Amnesty International, il solo impegno che valga la pena di prendere… Non mi considero un saggio, ma aspiro a diventare un vecchio elefante. Non sono soddisfatto di me, vorrei sempre superarmi, eliminare le scorie, andare all'essenziale…». «Ho un sacro orrore delle etichette. In Francia adorano catalogare tutto, per sfuggire alla catalogazione tento di muovermi tra ruoli molto diversi, la varietà è un mio punto d'onore. Non si fa questo mestiere per annoiarsi o annoiare la gente…».


La semplicità non è soltanto una qualità dell'attore, lo è anche dell'uomo Noiret. Philippe adora la discrezione: «Non dir nulla e far capire tutto», scriveva acutamente Moravia a proposito della sua prestigiosa interpretazione in L'horloger de Saint-Paul . Philippe detesta la presunzione, gli artifici, l'ipocrisia. «È un difetto molto francese quello di recitare in modo pretenziosamente intelligente; bisogna resistere alla tentazione di far credere che l'attore è più intelligente del personaggio» (intervista "Studio", 1989). «Bisogna rendere tutto più leggero, basta con i parigianismi assurdi». «Sono rimasto un provinciale, la vita parigina mi stanca». Non si può proprio dire che abbia un'alta opinione di se stesso. «Credo di avere un ego normale», «quando mi guardo allo specchio mi do dodici su venti, ma se mi comparo ad altri salgo a diciotto». E, citando una frase del ballerino Nijinski, aggiunge: «Io non salto più in alto degli altri, cerco solo di restare in aria un attimo di più!» ("Télérama", 1981).


Con una disarmante semplicità confessa di non avere nessun metodo nel lavoro: «Detesto la parola metodo, la parola rigore, mi affido all'istinto. Lavoro sui personaggi in maniera inconscia. Cerco di far emergere le cose che ho dentro, di sorprendermi. La mia tecnica è un non-metodo… Non so com'è fatto un attore, come funziona… È una sorta di magia nera. Credo che bisogna affidarsi all'istinto, essere aperti a tutto quello che può colpirci; un attore si nutre dall'interno, e non sa come le cose arrivino». Sembra di sentir parlare Mastroianni, che di Philippe era un amico sincero. Per l'attore felliniano, Philippe ha un'ammirazione sorprendente, assoluta, un'autentica passione: «Marcello è il più grande attore al mondo. Se si passa in rassegna la sua carriera si vede che è perfetto in tutti i ruoli, crediamo sempre ai suoi personaggi, alla sua interpretazione. È sempre così spontaneo, discreto, mai dimostrativo». (La dichiarazione è tratta dal bellissimo film-documentario Marcello una vita dolce , realizzato da Mario Canale e Anna Rosa Morri nel 2006 per Surf Film, Orme e Acab). Indubbiamente Philippe e Marcello hanno molte cose in comune, ci conferma Monicelli: recitare en nuances , andare all'essenziale, epurare, minimizzare il proprio ruolo («noi attori non siamo dei creatori!» ama ripetere Noiret), la tendenza tipicamente italiana ad autodenigrarsi (così rara a Parigi, vedi l'ultimo Mundial). Dei colleghi italiani con cui ha lavorato, registi e attori, Noiret dà dei giudizi così lusinghieri da farci arrossire (vedi intervista inedita di Jean-Pierre Lavoignat), e gli amici Rochefort, Marielle, Sabine Azéma non sono da meno. Unica eccezione, Alberto Sordi che lo ha diretto in Il comune senso del pudore : «Sordi è un attore comico formidabile, ma sul set capriccioso come un bambino». Gassman invece «un uomo di una generosità favolosa».

Fa davvero impressione sentirlo parlare con tanta sincera ammirazione di Monicelli, Rosi, Montaldo, Scola, Tornatore, Troisi, Gassman, Tognazzi. Il nostro Ministero dei Beni Culturali dovrebbe fare davvero un monumento a Philippe Noiret! La stessa suprema eleganza che lo porta a vivere in disparte lo induce ad evitare le polemiche. Ma a volte fa eccezione alla regola. Convinto che su un set ci si debba anche divertire, evita di girare con registi troppo seriosi o tendenzialmente sadici come Godard e Pialat. Decisamente , Noiret l'italiano non ha simpatia per un certo parigianismo. «Per un certo tempo – dice – sono stato disgustato dal teatro a causa di una generazione di registi sedicenti rivoluzionari che non rispettano né il testo né gli attori… Ho inviato lettere d'ingiurie ad alcuni di loro». «Il cinema francese? è più un cinema da salotto, direi, quello italiano invece è un cinema da strada»: una definizione azzeccatissima. Detesta il culto parigino del "rigore", la mania delle classificazioni, le combriccole dei "burattini della stampa mediatica parigina" che si divertono a esaltare e stroncare senza ragione questo e quello (vedi il capitoletto "Le cose che amo, e detesto"). «A Parigi esiste una giuria clandestina, una sorta di cupola mafiosa composta da persone influenti che distribuiscono delle "tessere"; queste "cartes" assicurano ai prescelti che, qualunque cosa facciano, anche un semplice peto, avranno sempre la benedizione dei media». Tra i tesserati a vita cita – con una punta di polemica – il filosofo Henry-Levy, Godard, Luchini, Jeanne Moreau! «Quella carte io non ce l'ho mai avuta» conclude, «non sono abbastanza intelligente, non abbastanza classificabile…». Nelle cinquanta pagine di questo sorprendente "autoritratto" involontario c'è anche un formidabile decalogo dell'attore… Philippe Noiret è davvero il più simpatico degli inclassificabili. Ha ragione Sabine Azéma a definirlo "il monumento", ma a lui questa definizione di sicuro non piacerà.

(Dal catalogo France Cinéma 06, edizioni Aida, Firenze)

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