PROFILI – Leni Riefenstahl, stretta nel tempo

Il 22 agosto 2002 festeggerà 100 anni, sopravvivendo agli amati/odiati protagonisti del III Reich e ripresentandosi con un nuovo film, un documentario sulla vita sottomarina nell’Oceano. Un ritratto della regista di "Olympia" e "Trionfo della volontà"

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Se come postula il marxismo non esiste il genio creatore di teorie, e questo valesse anche per il cinema, ma è piuttosto l’epoca storica che le fa sorgere, è marginalmente spiegato come due registi del valore di Billy Wilder e Leni Riefenstahl siano spariti dalla circolazione. I loro sono stati periodi d’oro grazie ai quali il loro cinema si è espresso e ha detonato lo stilema di un’epoca. E’ nella Hollywood dei grandi feudatari che Wilder si insinua lanciando fendenti alla faccia pulita del cinema, serpeggiando fra i diktat del poliziotto della morale Will H. Hays e costruendo così quei capolavori “cinicomatografici” da noi tutti celebrati. Allo stesso modo la poetica di Leni Riefenstahl, si è nutrita ed è cresciuta nell’humus che da lì a poco avrebbe dato i natali alla Seconda Guerra Mondiale. A questo proposito è emblematico ricordare il titolo della sua autobiografia: “Storia della mia vita stretta nel tempo”. E’ infatti del suo tempo che Leni Riefenstahl è la più grande regista, poiché il suo tempo non ha ancora smesso di stringerla.

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Il 22 agosto di quest’anno raggiungerà il secolo di vita, sopravvive agli amati odiati protagonisti del Terzo Reich e si ripresenta, a differenza del suo quasi coetaneo Billy Wilder, con un nuovo film. Un documentario che mostra la vita sottomarina dell’Oceano Indiano al largo di Papua New Guinea. A settantun anni Leni fece la sua prima immersione lasciando che il peso dei suoi malanni si fermasse in superficie. Non ha più lasciato quel mondo tanto bello da definire “imperioso” anzi, con 45 minuti di riprese, la regista riemerge regalandoci e regalando ai suoi cent’anni un po’ di quel Bello tanto cercato e filmato nel passato. La sua è stata una vita percorsa a inseguire il “sogno”. La “sacerdotessa del Bello” la chiamavano, un bello inseguito e fortemente voluto, ricercato in ogni scenario pericolosamente inquadrato. Rischia la vita pur di ritracciare fedelmente le coordinate del vero. Per il film “La bella maledetta” di Arnold Fanck si schianta – veramente – con un aereo contro un iceberg per esigenze di copione, le stesse per le quali affronta valanghe, bestie feroci, acque ghiacciate. Non si ferma di fronte a niente, se ne va di casa giovanissima per amore della danza, diventerà ballerina di fama mondiale prima che attrice e definitivamente regista. Passerà dall’essere “auteur en scéne”, di quella scena buia che la Seconda Guerra Mondiale mette in piedi, agli anni luminosi e forse meno tristi della sua Africa e dei suoi amati e fotografati Nuba. Di fatto però, saranno le connivenze con il nazismo e le amicizie compromettenti – il Führer, Goebbels e Speer soprattutto – i motivi che le faranno guadagnare l’epiteto di “regista di Hitler”. E’ nel 1934 che Leni realizza forse il suo “film” più discusso, “Trionfo della volontà”. Un agiografico documentario commissionato dal regime sul congresso del partito a Norimberga. La sua estraneità al nazionalsocialismo, come si evincerà poi nella dichiarazione giustificativa del tribunale di denazificazione, non è da mettere in dubbio, almeno dal punto di vista etico. “Trionfo della volontà” fu commissionato e ordinato da Hitler, non si edificò su una volontà artistica di Leni. E’ semmai legittimo soffermarsi sull’unico tacito consenso al regime, quello estetico. Leni era la portatrice dell’estetica del bello. Potenti effetti sonori, uso di carrelli, costruzioni di ascensori appositi per le riprese dall’alto, sono i mezzi grazie ai quali la figura di Hitler e del regime venivano esaltate e glorificate. L’estetica della Riefenstahl impugnava con determinazione la croce uncinata del nazismo, assecondando attraverso le sue immagini un’etica alla quale ha sempre affermato di sottrarsi. Sin dalla Magna Grecia il concetto di bello è entrato in rapporto con il concetto di buono e di vero. Una retorica dell’immagine limpida quanto compromettente. Per l’altro capolavoro, “Olympia”, il film che nel 1936 immortalò le Olimpiadi di Berlino, Leni e i suoi tecnici escogitarono un sistema di insonorizzazione per le macchine da presa, in modo che il rumore non infastidisse gli atleti; progettarono carrelli a velocità variabile ed elaborarono strategie di ripresa per seguire lo svolgimento delle gare; si servirono di palloni aerostatici, mongolfiere, aerei e battelli, e ricorsero a ogni stratagemma pur di filmare in maniera trionfale, pur di “rendere possibile l’impossibile”. Per filmare lo stadio da una prospettiva aerea, non esistendo ancora gli elicotteri, si servirono di un pallone. Fissavano ad esso una piccola macchina da presa e lo liberavano facendolo salire al cielo e, grazie ad un’inserzione sulla Berliner Zeitung am Mittag, promettevano una ricompensa in denaro a chi avesse riportato la macchina con il materiale filmato. Il desiderio di innovazione, di rivoluzione del linguaggio sono stati sempre alla base del lavoro della Riefenstahl. Certi stratagemmi come quello di legare piccole macchine da presa alle selle dei concorrenti delle gare di equitazione, o addirittura progettare delle imbracature per maratoneti ove alloggiare piccole macchine, sono lo specchio di un potere assolutistico della visione. “Monumentari” li chiama Ghezzi. Anche se alla Riefenstahl l’orgoglio non è mai mancato – sono celebri alcune sue sfuriate con Goebbels e con gli uomini del regime – sentì, giunta a 82 anni, il bisogno di “giustificare” la sua vita e il suo lavoro agli occhi del mondo scrivendo l’autobiografia summenzionata. Il desiderio di riscatto le si presentò all’indomani della proiezione di “Olympia” alla settimana olimpica a Losanna. La regista non potette presenziare, l’allora direttore del comitato olimpico la avvertì che in sua presenza la proiezione sarebbe stata interrotta da innumerevoli proteste. “Ero avvilita e delusa, “Olympia” fu proiettato senza la mia presenza, il piatto d’argento che il presidente Samaranch mi spedì qualche tempo dopo, con una dedica incisa, non bastò a consolarmi. Adesso sapevo soltanto una cosa: dovevo scrivere questo libro”. Ci vollero cinque anni di lavoro per completare la sua autobiografia, un percorso che segna e sposa la Storia di questo secolo con la storia della cinematografia. A questo proposito è emblematica una sua affermazione dalla quale traspare tutta l’incoscienza e l’innocenza (?) di un periodo passato a servire, assieme ad Albert Speer, architetto prediletto del Führer, quell’estetica nazista che tanto ha condizionato le menti e l’inconscio dei sostenitori del Terzo Reich. «Continuavano a chiedermi se avessi una storia con Hitler. “Sei la donna di Hitler?” Io ridevo e rispondevo ogni volta allo stesso modo:
”No, sono false voci. Per lui ho solo fatto dei documentari.”» Più volte la Riefenstahl sottolineò il fatto che la sua libertà passava attraverso una libertà di espressione estetica e non sembrava sinceramente tormentarsi se questo suo “Expressionismus” cinematografico si spingeva dalla parte opposta a quella della sua fede morale. Per questo motivo la vita e l’intera autobiografia della regista sono percorse da una vena di ambigua comprensione.
La Riefenstahl infatti, seppe muoversi in punta di piedi sulle quinte di una Germania in pieno cambiamento e alla ricerca di una “nobilitazione”. Le caviglie allenate della regista potevano cedere sotto la gravità della Storia, affaticate da un muro di abbagli, quello stesso muro che avrebbe poi materialmente diviso la Germania, ma la sua fibra teutonica le imponeva la conservazione del “Mito in sé”. Assioma di schellinghiana memoria che la porterà a percorrere a testa alta l’intero Novecento. “Se è vero che le avversità rinsaldano le nostre forze – scrive la regista – io dovrei poter sfidare Ercole, giacché la mia vita altro non è stata se non una lunga serie di difficoltà, Mai desistere: questo, fin da principio, il mio motto”. A forza di imperativi Leni Riefenstahl è tornata a far parlare di sé. Oltre al documentario marino “Impressionen Unter Wasser” con le musiche del nostro Giorgio Moroder, per il 2003 sembra essere in preparazione un film sulla sua vita interpretato da Jodie Foster. Certo è che tirando le somme ci si accorge che sia la storia del secolo scorso che la storia del cinema, che a quel secolo appartiene, non sono riusciti ancora a tramare un solo evento considerabile postumo a Leni Riefenstahl. E c’è da scommettere che se il film sulla sua vita andrà in porto, alla prima della proiezione Jodie Foster siederà accanto alla Leni originale. Presenziare al film sulla propria vita non è da tutti, e per il suo centesimo questo è il più bel augurio che possiamo farle.

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