PROFILI – Terrence Malick, cineasta: "Una carriera meno improbabile di un'altra".

Compie sessant'anni un'invisibile, indefinibile cometa dell'universo hollywoodiano, dal periodo di rivoluzione scostante e dall'orbita marcatamente ellittica, rispetto ad un centro gravitazionale produttivo statunitense collassato e poco incline alle deviazioni di rotta: Terrence Malick.

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Dice Martin Sheen, in un'intervista contenuta in Rosy-fingered dawn – Un film su Terrence Malick: "Terry non si sente a suo agio se lo riconoscono per quello che fa. Si sente a suo agio se lo riconoscono per quello che lui è". "Il cineasta", prosegue, "è solo una piccola parte della sua personalità". Partiamo da queste due semplici frasi per abbozzare, in occasione del suo sessantesimo compleanno, il profilo di uno dei registi di culto degli ultimi trent'anni; uno per il quale le star si misero in fila, pur di interpretare una parte nel suo ultimo film: Terrence Malick, invisibile, indefinibile cometa dell'universo hollywoodiano, dal periodo di rivoluzione scostante (cinque anni tra il suo esordio – La rabbia giovane, giusto trent'anni fa – e I giorni del cielo; vent'anni tra questo e l'attesissimo ritorno, terzo e speriamo non ultimo film, La sottile linea rossa, del 1998) e dall'orbita marcatamente ellittica, rispetto ad un centro gravitazionale produttivo statunitense sempre più collassato e poco incline alle deviazioni di rotta. Usiamo queste frasi come punti di riferimento, per orientarci nel tentativo di definire le motivazioni che hanno permesso a questo regista così avido di prove documentali di diventare – usiamo il termine, per una volta, forse non a sproposito – un mito.

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"Il cineasta è solo una piccola parte della sua personalità".


Malick non rilascia interviste; Malick non si fa riprendere da una telecamera o da una cinepresa. In Rosy-fingered dawn – Un film su Terrence Malick, realizzato dai quattro cineasti romani Hintermann-Panichi-Villa-Barcaroli, e presentato con successo a Venezia 59, sfilano Martin Sheen, Sissy Spacek (co-protagonista con quest'ultimo de La rabbia giovane), Sam Shepard (I giorni del cielo), Jim Caviezel, Sean Penn, Adrien Brody, John Turturro, Elias Koteas (tutti ne La sottile linea rossa), Arthur Penn, Haskell Wexler e tanti altri; ma di Malick nemmeno l'ombra. Perché è diventato un eremita? C'è qualche tratto biografico che spieghi il suo essere un' anti-star?
Nel 1979, dopo i suoi primi due film, il regista scomparve dichiarando: "D'ora in poi sarò sotto osservazione, e questo potrebbe farmi fare qualche passo falso".


 

Da bambino Malick non pensava al cinema, se non come ad una forma di svago; certo non meditava di diventare un regista. Assieme alla sua famiglia inseguiva il petrolio tenendo dietro al padre, dirigente di una oil-company. Maggiore di tre fratelli, vissuto tra tra Texas ed Oklahoma, se le trivelle esploravano le profondità della terra alla ricerca del liquame pregiato, Malick mostrava invece una predisposizione per un tipo diverso di indagini, rivolto all'esterno, verso i confini dell'interiorità umana; o, che è la stessa cosa, verso l'infinito e l'incommensurabile, a caccia del senso dell'esistenza.
Lo studio della filosofia fu uno sbocco naturale per la sua inclinazione; nel 1961, a diciotto anni, iniziò a seguirne i corsi ad Harvard, laureandosi quattro anni dopo. Quindi prese l'aereo: per andare prima in Germania, dove incontrò Martin Heidegger, che all'epoca aveva 76 anni (e del quale tradusse in seguito "L'essenza del fondamento"); poi in Inghilterra, ad Oxford, dove frequentò i corsi di filosofia, abbandonati per tenere seminari su Heidegger al Massachusets Institute of Technology. Non prima di aver collaborato a riviste come "Life" e "Newsweek". O di aver lavorato, d'estate, nei campi di grano americani e canadesi; o aver guidato betoniere, o aver fatto l'operaio nei giacimenti di petrolio.
Finalmente, nel 1969, Malick approdò al cinema: riuscì a farsi ammettere, grazie al cortometraggio Lanton Mills, al prestigioso American Film Institute di Los Angeles, appagando così la passione per il grande schermo; un amore che era sempre stato vivo, ma in una forma che egli stesso ha definito, in una delle rarissime interviste rilasciate, "ingenua". Ad ogni modo, "sembrava che la carriera di regista fosse meno improbabile di qualsiasi altra", e quel corso rappresentò l'inizio della sua avventura cinematografica.


"Una carriera meno improbabile di un'altra": una frase che è un inno heideggeriano all'equivalenza (alla nullità, all'irrilevanza) delle possibilità che ognuno incontra nella propria vita; la matrice filosofica della sua formazione culturale, oltre ad essere palpabile in ogni scelta stilistica effettuata in fase di ripresa, illumina le motivazioni di una scelta di invisibilità, che per essere inquadrata correttamente va messa in relazione con il profilo di un uomo di pensiero che teme fortemente le lusinghe del mondo dello spettacolo.


"Terry non si sente a suo agio se lo riconoscono per quello che fa. Si sente a suo agio se lo riconoscono per quello che lui è"



 

Sheen, nel tratteggiare con questa frase la personalità di Malick, stava raccontando un aneddoto. Descriveva il giorno in cui il regista, mentre era a passeggio con lui, si eclissò non appena un passante, riconosciuto l'attore, iniziò a tesserne le lodi per l'abilità con la quale aveva interpretato il protagonista de La rabbia giovane: Malick si era subito allontanato, quasi fuggendo, come se fosse stato terrorizzato dal pensiero che quel tipo, informato da Sheen sulla sua identità, avrebbe potuto iniziare a chiedergli del film o, peggio ancora, dei suoi progetti futuri…
Sheen, in questo racconto come anche in altri contributi al documentario, mostra una grande ammirazione per questo comportamento così eccentrico, specialmente rispetto ad una norma che vede le stelle del cinema ben liete di foraggiare la propria autostima rendendosi disponibili all'adorazione dell'uomo qualunque. E la sua testimonianza è confortata da quelle di molti altri, tra i collaboratori abituali e quelli occasionali del regista. In particolare, se ne deduce che Malick manifesta una reale incapacità – o mancanza di volontà – di distinguere tra il suo ruolo di regista e la sua personalità, la sua natura: in altre parole, tra ciò che fa e ciò che è. E' così strano allora che Malick – in coincidenza con il suo abbandono delle scene, dopo I giorni del cielo – abbia deciso di scomparire, addirittura di abbandonare i pragmatici Stati Uniti, dove l'evidenza esteriore del proprio ruolo nella società è fondamentale, per rimanere vent'anni in una Europa per sua natura più speculativa, lontano dal gossip e dalle interferenze nella vita privata?
Tra le decine e decine di termini usati per raccontare Malick, sia nel già citato film-documento che nei numerosi scritti a lui dedicati, quello che ricorre più frequentemente è l'aggettivo "timido": come racconta Sean Penn, che sorpresa scoprire che il regista de La rabbia giovane – un film in cui un Martin Sheen stralunato uccide freddamente chiunque si metta sulla sua strada – nasca dalla mente di un regista tanto impacciato… Una timidezza che non corrisponde a pavidità, ma che rispecchia piuttosto il pudore di chi è consapevole del fatto che la propria sensibilità, il proprio mestiere, può mettere a nudo l'interiorità delle persone, siano essi attori, tecnici o spettatori, che vi entrano in contatto.


Tre soli film


Tre soli film per entrare nel mito. Tre soli film per far dire a qualcuno "Per me lui è un esempio di come vivere, di come lavorare seriamente. Lo trovo incredibile per l'audacia e il coraggio che dimostra nella realizzazione dei suoi film. E' un esempio straordinario. Se si vuole raggiungere qualcosa, dire qualcosa di serio, si devono guardare i film di Terrence Malick, e cercare di seguire il suo esempio" (Sergej Bodrov).


 

Mai come in questo caso i film sono "immagine" del loro autore. Si ha l'impressione che, per la definizione di "un'idea su Malick", i suoi film servano, grosso modo, come l'impronta di un animale preistorico serve a dedurne forma e dimensioni; essi sono, in definitiva, il segno del suo passaggio, della sua presenza, del suo pensiero. Ma, come ad un paleontologo rimane solo l'immaginazione, per dedurre le reali fattezze dell'animale del quale studia l'orma fossile, a noi della personalità di Malick è consentito di studiare solo un calco, composto con i tre film che ha girato.
Forse è proprio la noncuranza, la scarsa importanza che Malick ha dato al suo mestiere, a rendere il suo personaggio così ammaliante, così misterioso e seduttivo; un'indolenza che non gli ha impedito di farla davvero, quella "carriera meno improbabile di tante altre". E se la costruzione del mito è stata fondata su due film di grande originalità – per il connubio tra sensibilità artistica ed umana e tra violenza concreta e metaforica -, il consolidamento gli è stato dato dall'attesa ventennale, preceduta da miriadi di voci, che è stata necessaria per poter vedere La sottile linea rossa, congiunta con la constatazione che quel percorso così lungo aveva consentito la nascita di un film sublime e trascendentale. Un film che continua ad essere contemporaneamente un (involontario?) inno alla pace ed una delle più grandi messinscene della paura della morte mai vista nel cinema, e non solo di guerra.


Per illuminare un personaggio sottoesposto


 

Era il 1968, e Terrence Malick aveva 25 anni, quando Larry, uno dei due fratelli del regista, si tolse la vita.
Malick contribuì alla scrittura di Dirty Harry (1971), da noi noto come Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!, e dell'esordio alla regia di Jack Nicholson Drive, he said (1972), uscito in Italia col titolo Yellow 33.
La religione: Malick è un devoto protestante, di confessione episcopale.
Il matrimonio: Malick si è sposato tre volte. Finora due divorzi.
Progetti irrealizzati: un rifacimento de L'intendente Sansho, di Mizoguchi Kenji, inizialmente affidato ad Andrzej Wajda; Q, un dramma ambientato in Medio Oriente durante la Prima Guerra Mondiale, che sembra essere il progetto più accreditato per il suo prossimo film. Anche se c'è chi giura di aver visto Malick interessato a macchine da presa Panavision 65mm per il progetto di un film su Che Guevara.
Vive tra Parigi ed Austin, Texas (qui, in due appartamenti: uno per vivere ed uno per lavorare – "quello che si è e quello che si fa…").
Hanno detto di lui: "Ogni fotogramma de I giorni del cielo andrebbe ingrandito ed appeso alla parete" (M. Scorsese); "Ha una voce a metà strada tra Kermit la rana e un contadino texano" (J. Caviezel).
Ha detto di sé: "Non ero un buon professore di filosofia; non avevo quell'ascendente che un buon insegnante dovrebbe avere sugli studenti".


I film


La rabbia giovane (Badlands, 1973)
I giorni del cielo (Days of heaven, 1978)
La sottile linea rossa (The thin red line, 1998)


I links


Un gruppo di discussione "unofficial" (in inglese):
http://groups.yahoo.com/group/terrencemalick/messages/
Malick e la filosofia (in inglese):
http://www.film-philosophy.com/vol6-2002/n48critchley

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