PROFILO – Emanuele Crialese ricorda ciò che l' Italia dimentica
Il corpo dello straniero si rivela, ancora una volta, luogo privilegiato dell'incontro e dello scontro, metafora polivalente e sfaccettata di un autore a tutto tondo.
Previste per Giugno 2010, le riprese di Terraferma vedranno Crialese, romano di nascita, immerso nuovamente nella propria patria mitica, una Sicilia che non è Italia ma che allo stesso tempo riassume, esasperandoli, l'isolamento e gli umori che l'hanno pervasa dalla fine dell'800 ad oggi, che hanno cioè traghettato l' intera nazione, in un secolo circa, dall'universo dell' emigrazione a quello dell'immigrazione. Quale gesto può rivelarsi più contemporaneo, più necessario, se non la ricostruzione filmica di quell' epoca – non lontana, eppure già dimenticata – nella quale “we were strangers”, bistrattati ed emarginati, vittime dei pregiudizi e delle generalizzazioni che uccidono l'identità dell' individuo?
In un percorso biografico e di studio che prende avvio proprio da una migrazione, Crialese si ritrova personalmente catapultato nello stesso “mondo nuovo” dei propri personaggi, luogo onirico dove scorrono fiumi di latte e di miele, luogo reale dove l' attore Vincenzo Amato (Salvatore in Nuovomondo, Antonio in Once we were strangers) cerca contatti umani, tentando a fatica di superare le dolorose barriere che la distanza culturale interpone tra gli uomini, tra un padre siciliano ed una giovane donna inglese (la carismatica Lucy, Charlotte Gainsbourg in Nuovomondo) nei primi del '900, tra un clandestino italiano ed una speaker radiofonica americana negli anni '90.
Terraferma si configura, a questo punto, quale gradino successivo, conseguenziale, di un discorso che prende coscienza dell' attuale stato delle cose, portando sullo schermo la bruciante attualità, e non più una metafora sulla Storia che induca alla riflessione: non più a ricordarci che siamo stati stranieri, ma a rendere visibili gli stranieri di oggi, in terra nostrana. Il film tratterà delle peripezie di una donna dell'Africa sub-sahariana, nel tentativo di raggiungere quella stessa Sicilia dalla quale Salvatore ed Antonio fuggivano, solo pochi anni prima e per ragioni diverse.
Come collocare allora, all' interno di un discorso straordinariamente coerente quanto a tematica e scelte dramaturgiche, un piccolo ed enigmatico capolavoro quale Respiro? In primo luogo, ancora la Sicilia, ma elevata al quadrato, Lampedusa, isola di un isola, come elevata all'ennesima potenza la solitudine della protagonista, una straordinaria Valeria Golino (Grazia) in un film che gioca interamente su di un “corpo estraneo”, tanto più sensuale perchè inafferrabile, pedina impazzita che genera l' umano, ahimè, troppo umano, disprezzo per il diverso.
Straniera nella propria terra, Grazia diviene l' emblema del disadattamento, ed eleva la riflessione del nostro autore da un piano strettamente culturale ad una sfera universale, nella quale la necessità di fuga non si risolve solo sul piano fisico (Grazia si rifugia in una grotta per sfuggire all'internamento forzato) ma nella lotta interiore per l' affermazione della propria esistenza, e l'individuo torna ad essere, finalmente, artefice del proprio destino e della propria unicità.