Profondo, di Giuliano Giacomelli

Un mostro che viene dagli abissi marini marchigiani è metafora per raccontare quello delle voragini dell’anima nell’esordio indipendente del trentenne Giacomelli. Disponibile su Amazon Prime Video

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La meditazione e l’acqua sono sposate per sempre” scrisse con la sua incredibile penna Herman Melville in Moby Dick per dare fatalità aforistica al matrimonio lungo millenni tra l’uomo e il mare. Con le sue distese d’acqua salata a cui solo la percezione dell’occhio umano può dare un orizzonte finito, il mare (come invidiamo i francesi che lo indicano al femminile!) ci ammalia perché con la sua infinita grandezza può cullarci delle nostre infinite piccolezze. Ancora Melville, in un altro punto del suo capolavoro, e in particolare Ismaele: “Sdegnai la terra limitata – quella strada comune tutta segnata dalle impronte di tacchi e di zoccoli servili – e mi volsi ad ammirare la magnanimità del mare che non lascia ricordi”. Ed in fondo questa è lo stesso afflato che anima il giovane Giuliano Giacomelli, autore in precedenza di corti, documentari, due episodi nell’antologia P.O.E. – Project of Evil oltre che assistente alla regia di Lorenzo Bianchini in Oltre il Guado, in questo suo lungometraggio d’esordio Profondo, girato tra il 2016 e il 2019 in completa autoproduzione con Ethika Entertainment.
Dopo essere stato bellamente ignorato dal circuito italiano non solo distributivo ma anche festivaliero – il film viene presentato in anteprima mondiale al Cinefantasy – International Fantastic Film Festival 2019 di San Paolo del Brasile e solo in seguito al piccolo International Tour Film Festival di Civitavecchia – ecco che in questo 2020 il primo film in solitaria del cineasta trentenne trova la sua rivincita: acquisito da Minerva Pictures e Multivision Pictures per un rilascio sui circuiti VOD e home video, il 29 maggio il film fa addirittura il suo debutto sulla piattaforma Amazon Prime Video Italia. Forse gran parte della disattenzione mediatica è dovuta al fatto che Profondo sceglie di rifiutare i battuti sentieri del periferia movie e dei generi codificati per tuffarsi in mare aperto, alla ricerca di un mostro che esiste solo per chi sceglie di farsene ossessionare.
I titoli di testa del film giocano graficamente con il paradigma stilistico di una delle tante leggende a tema nautico: il Diavolo Rosso è un grosso pesce che infesta da decenni le acque marchigiane comprese tra Fano e Pesaro. Come il capodoglio bianco del vertice melvilliano a cui il film chiaramente s’ispira, la creatura marina sembra sfidare i temerari pescherecci che osano navigarle vicino avvinghiandosi alle loro ancore per farli affondare. I pescatori locali nell’incipit mockumentary (peccato la suggestione non sia coltivata nel prosieguo e rimanga una trovata isolata) dichiarano di non credere a questa diceria sublimando al contempo nei loro volti l’atavico terrore che attanaglia sempre le popolazioni costiere di fronte a questi miti ancestrali.

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Leonardo, il protagonista del film, nonostante l’opposizione dei marinai e tracce mediali flebili dedica invece ogni sua energia all’avvistamento della creatura che fluttua soprattutto nei suoi pensieri. Profondo più che un monster-movie è infatti il racconto dell’impossibile riscatto di un uomo profondamente segnato dalla vita e con l’evidente tara di una malattia all’ultimo stadio che accresce il suo disturbato “sogno d’infermi e fola di romanzi“. Solcare con una barca sgarrupata i mari marchigiani alla ricerca del diavolo rosso, gettare a poppa ogni giorno il cibo per farlo emergere, controllare possibili spostamenti attraverso il sonar, registrare con macchina e video ogni tipo di indizio è per il fotoreporter il rituale per sfuggire all’incombente Morte. Scagliandosi a testa bassa contro il parere sfavorevole della gente del posto e contro quello del suo migliore amico, sinceramente preoccupato per un’impresa ai limiti della paranoia, Leonardo vuole prendere congedo rabbioso dal mondo terreno. L’unica figura con cui il rude personaggio interpretato da un efficace Marco Marchese s’abbandona da subito con trasporto è la piccola Esther che con la sua tenerezza d’infante riesce ancora a sorprenderlo.
Nell’intento di mostrare le vulnerabilità di un uomo altrimenti monomaniacale Giacomelli si lascia prendere dai canoni di certo cinema autoriale (il discorso sull’originalità del racconto sostenuto dalla bambina) e dall’altra grande ispirazione letteraria, di cui replica alcune dinamiche, che è Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway, che portano il film a beccheggiare pericolosamente, per usare un termine consono all’ambiente, verso il maelstrom della convenzionalità. Ma è un rischio che Profondo, come dimostrato dal finale, con insospettabile sapienza da lupo di mare aveva probabilmente già inserito nel suo piano di navigazione originale. Anche se il marchigiano Leonardo non può trasmettere il titanismo dello statunitense Achab saprà fare la stessa fine: una razza rossa uccide quanto una balena bianca.

 

Regia: Giuliano Giacomelli
Interpreti: Marco Marchese, Marcella Valenti, Nicola Trambusti, Giovanni Visentin, Gianluigi Fogacci, Edoardo Siravo
Distribuzione: Amazon Prime Video
Durata: 87′
Origine: Italia, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
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