Project Silence, di Tae Gon KIM

Presentato fuori concorso a Cannes è un action che strizza l’occhio al disaster movie. La mescolanza dei generi però lo depotenzia. Fuori Concorso.

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Arriva dalla Corea un titolo abbastanza alieno ai festival, un blockbuster puro, interessato all’intrattenimento, che non  risparmia il ricorso ai cliché e per la trama si affida a situazioni ben note ed ad una risoluzione prevedibile. La storia di Cha Jung Won, un funzionario del ministero della difesa che lavora a stretto contatto con le alte sfere politiche, viene stravolta a causa di un incidente stradale. La sua vita, insieme a quella della figlia, piomba in un inferno e va a complicare una relazione già in crisi da tempo per il lutto della moglie. Il racconto dopo l’eventi scatenante prende a quel punto un tono corale. Gli altri personaggi sono il solito campionario di persone vittime della paura di sé stessi o del giudizio di altri, insoddisfatte, fraintese, abituate a subire il destino ed a portare quel tanto di irrisolto possa offrire una soluzione in un piccolo gesto di eroismo, persone ordinarie come tante.

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L’evento catastrofico è un gigantesco tamponamento automobilistico sopra un ponte. È il principio di un disaster movie in piena regola, con una pericolosa fuga di gas che provoca incendi ed esplosioni, con la struttura sospesa che diventa pericolante, e con l’isolamento creato dalla mancanza di soccorso immediato. Poi se questo non bastasse c’è in giro un pericolosa muta di pitbull assassini, delle cavie da laboratorio fuggite dopo il ribaltamento di un furgone adibito al loro trasporto speciale, esemplari clonati da una matrice di particolare ferocia, spinta da uno spirito di vendetta a dichiarare guerra agli umani.  Lo scopo del gioco è quello di ricreare un susseguirsi di tensione, agitare sotto gli occhi dello spettatore la minaccia fino all’esasperazione, e tramite l’esperienza di morte trascendere, per completare la traiettoria classica di un arco trasformativo.

Le basi dunque sono di intrattenimento puro, trasgredite da un abuso di sospensione di incredulità per un continuo rilancio di colpi di scena. Inevitabile da quella necessità venga poi fuori un intreccio, non complicato, quanto saturato da temi come l’avidità di potere, l’amicizia, l’amore usati a solo scopo dimostrativo. La continua divagazione conflittuale rende a senso unico il bisogno di affidarsi senza troppo criterio ad un ginepraio di sottogeneri, dal thriller all’horror al sentimentale, più la tendenza al ridicolo per depotenziare gli eccessi drammatici. Restano alcuni passaggi action godibili relativi al caos, gli effetti sonori che rendono le deflagrazioni realistiche, i pneumatici stridenti, i rumori sinistri, lo sguardo sanguinario degli animali a caccia. Efficacia totalmente perduta se guardiamo al lato umano, meccanico, pratico che rendono il quadro di un calore artificiale. Pronto a ripetersi in un secondo capitolo.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.3
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Il voto dei lettori
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