Provocazione e politica, l’halftime di Kendrick Lamar
Il rapper americano scuote il Caesars Superdome di New Orleans per l’halftime del Super Bowl, tra provocazioni e scelte politiche. Seduto sugli spalti il presidente Trump

L’halftime show del Super Bowl è esempio emblematico di spettacolarizzazione nella cultura americana. Un’esibizione iper-coreografata, finanziata dalla aziende con il fine di attirare l’attenzione degli oltre 100 milioni di spettatori che seguono la finale del campionato della NFL, così da garantire introiti ancora più elevati ai brand come Doritos e Taco Bell. Certo è che nel corso degli anni ha offerto momenti iconici, uno su tutti Prince nel 2007 al Dolphin Stadium di Miami e la sua Purple Rain sotto la pioggia.
Padrone assoluto nel famoso intervallo della finale conclusasi al Caesars Superdome di New Orleans, che ha visto trionfare i Philadelphia Eagles, è stato Kendrick Lamar, rapper intellettuale vincitore del premio Pulitzer e fresco di cinque premi agli ultimi Grammy. L’halftime di quest’anno aveva tutte le carte in regola per essere considerato iconico già prima di iniziare, grazie al contesto politico e sociale particolarmente. E infatti, le aspettative non sono state deluse. La finale di campionato era stata preceduta dalle polemiche scatenate dallo smantellamento delle politiche inclusive Dei del presidente Donald Trump. La NFL ha scelto di non schierarsi in questa battaglia culturale, nonostante una parte significativa dei suoi giocatori provenga da minoranze discriminate. Di contro, Trump si è presentato sugli spalti per assistere alla partita, diventando il primo presidente degli Stati Uniti ad essere presente all’evento sportivo.
Tornando allo show, Lamar attraversa uno dei periodi di massima popolarità mainstream, dopo lo scontro nel 2024 con Drake a colpi di diss track, culminate con Not Like Us che ha dominato la Billboard 200 per tutta l’estate e nella quale accusa ripetutamente Drake di essere un pedofilo. Allora quale Kendrick Lamar avremmo visto? Il rapper attivista o il provocatore? Alla fine ha scelto entrambi. L’halftime si è aperto con Samuel L. Jackson nei panni dello Zio Sam: “It’s your Uncle Sam, and this is the great american game” ha esordito l’attore dando il via allo spettacolo con la solita imponente scenografia all’interno del campo da football – questa volta più minimale rispetto a quella dell’halftime in cui Lamar si è esibito con Dr. Dre, Snoop Dogg ed Eminem – con il rapper sul tetto di una Buick Grand National GNX del 1987 – come il titolo del suo ultimo album – dal cui interno una serie di ballerini tutti afroamericani in tute bianche, blu e rosse hanno iniziato a riempire il palco per poi formare una bandiera americana. E un pezzo dopo l’altro, Squabble Up e Humble, a scaldare l’intero stadio con la voce dello Zio Sam nero a cadenzare l’intera esibizione. Colpo di scena con SZA che sale sul palco, proponendo i brani che a ha realizzato con Lamar, Luther e All the Stars. E alla fine c’è stato spazio anche per la provocazione, continuando il dissing con Not Like Us, marcato dalla presenza nella coreografia della tennista Serena Williams, ex fidanzata di Drake.
QUI il video integrale della performance.
Kendrick Lamar si conferma uno degli artisti americani di maggior spessore, sapendo raccontare con occhio lucido il presente e ricoprendo il ruolo di rapper attivista. Ma la vera protesta è entrata nello show quando un manifestante è riuscito a infilarsi dentro la coreografia sventolando una bandiera con sopra scritto Gaza e Sudan.