Public Enemy, Anderson .Paak, Michael Kiwanuka: l’urlo, la protesta, il pianto di Black Lives Matter

La rabbia per l’omicidio di George Floyd continua a scuotere le coscienze dei musicisti incanalandosi in diverse gradazioni tra rap, hip hop e soul. Il dolore per quel sopruso resta immutato

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I disordini nelle città statunitensi in seguito all’omicidio di George Floyd continuano a spaventare così tanto il presidente Trump da fargli mettere in atto dispotiche misure per il controllo dei manifestanti. Ma mai come in quest’occasione si ha la sensazione che la ribellione al brutale razzismo incistato nel corpo pachidermico degli Usa abbia un carattere di irreversibilità impossibile da reprimere. Il movimento che gira attorno a Black Lives Matter infatti, pur continuando a bruciare di sacra rabbia istintuale, sta dimostrando di saper convogliare la sua protesta in forme più riflessive. Alcune delle ultime uscite musicali della scena black mostrano una gradazione emozionale così fiera e composita che perfino il capitalismo della sorveglianza, speriamo, farà fatica a riconoscere e punire. C’è, ancora e sempre, l’urlo di rabbia che diventa invettiva feroce contro il Sistema, un nemico pubblico da individuare e prendere a parolacce perché “la rivoluzione non è un pranzo di gala”.

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Black Lives Matter insomma non può e non vuole comunque prescindere dai suoi padri musicali. Così i Public Enemy accorrono dopo la pubblicazione dell’ultimo album della band, Loud Is Not Enough, con il loro ultimo pezzo. Prodotta da Dj Premier la canzone State of Union di Chuck D e Flavor Flav s’assume il compito di additare al pubblico ludibrio la politica razzista dell’attuale presidente degli Stati Uniti. Il dialogo con l’uomo che chiama i manifestanti thugs è opzione non contemplata come enfatizza la strofa principale del ritornello che appare in sovrimpressione durante il video: “State of the union/Shut the fuck up/Sorry ass motherfucker/Stay away from me“. Il testo più volte fa da didascalia e contraltare alle immagini di Derek Chauvin e degli altri suoi colleghi che sparano alle spalle di fuggitivi afroamericani ribadendo l’inconciliabilità della distanza. Di fronte al violento stato attuale delle cose la protesta deve rispondere con altrettanto durezza. E però il finale del video s’apre alla speranza chiudendosi con la colorata immagine di uno dei tanti cortei pacifici sfilati per le strade americane.

Proprio sul coinvolgimento personale negli scontri con le forze di polizia sono incentrate la canzone Lockdown di Anderson .Paak e il relativo video diretto da Dave Meyers, entrambi pubblicati il Juneteenth, la festa che celebra la liberazione degli schiavi il 19 giugno 1865. Qui la rabbia lascia il posto ad una doppia riflessione, testuale e audiovisuale, di lungo respiro sulle ingiustizie razziali sedimentatesi nel corso dei secoli ed esplose durante la forzata reclusione. Prodotto dallo stesso .Paak assieme a J.LBS, il pezzo racconta la militanza del rapper, della sua famiglia e della sua crew durante la pandemia scossa dalla brutalità della polizia, dall’ingiustizia razziale e dalla strumentalizzazione mediatica delle proteste che si sono animate in tutta la nazione dopo l’uccisione di George Floyd. All’interno della clip compaiono come ospiti, tra gli altri, Dominic Fike ed un serafico Jay Rock che catechizza il giovane Syd (The Internet) sulla necessità del far sentire la propria voce al pubblico. Il groove dolce, quasi gentile di Lockdown accompagna parole piene di consapevolezza argomentativa, distese su un tappeto sonoro che rinuncia anche a rime ed assonanze pur di rimproverare i critici wasp che si sono espressi con disappunto sui saccheggi :”Stai zitto quando uccidono i negri / Ma parli ad alta voce quando ci ribelliamo, hai opinioni che arrivano da un luogo di privilegio“. La domanda fondamentale che dovrebbe anticipare qualunque contributo teorico in fondo dovrebbe essere sempre questa, espressa con crudezza: “Perché [i poliziotti bianchi] gettano via vite nere come asciugamani di carta”?. Una delle tanti possibili risposte sta nella mai sanata disuguaglianza razziale della società che in una situazione di emergenza come quella dettata dalla diffusione del Covid-19 ne ha fatto salire a galla le contraddizioni con drammatica evidenza. Il rapper ricorda tra l’altro i 40 milioni di disoccupati che per la stragrande maggioranza sono minoranze non tutelate da un mercato del lavoro basato su un neoliberismo cannibale che si nutre dei suoi figli più poveri. Anche in questo video il finale raccoglie gli spunti disseminati filtrandoli attraverso una chiusa familistica: negli ultimi secondi .Paak tiene il figlio Soul Rasheed vicino e gli stringe triste la mano mentre una lacrima gli macchia il viso. La lacrima si anima e diventa una spirale scritta che si trasforma rapidamente nei nomi di George Floyd, Breonna Taylor, Rayshard Brooks e le tante altre persone ammazzate dalla polizia. Le vittime diventano così graficamente il pugno di protesta che sostiene Black Lives Matter. I titoli di coda comprendono inoltre un elenco delle associazioni alle quali la .Paak House del musicista ha dato supporto – Action Bail Fund LA, Atlanta Solidarity Fund e Albany Safety Fund for Black Lives – per chi volesse contribuire attivamente alla causa.

Ma a candidarsi seriamente ad inno spirituale dell’attualità è la canzone Light del 2019 di Michael Kiwanuka, traccia dell’album KIWANUKA ma ripubblicata sul suo canale Youtube il 19 Giugno con un nuovo video d’accompagnamento. Il cantante britannico di origini ugandesi consegna alla causa black questa elegia soul che facendo leva su una strumentazione classica e sull’uso della doppia voce nel ritornello interiorizza con la sua splendida sensibilità la sofferenza dei fratelli che stanno dall’altra parte dell’Oceano. Il nuovo video funziona quindi come reinterpretazione rispetto ad un testo che comunque chiedeva sin dall’origine di “spargere la luce su di me“. L’animazione di Light curata da Jeremy Ngatho Cole, basata su poche linee forti ed un cromatismo caldo che porta alla mente le tonalità africane, riassume in semplici scene la realtà esperita da famiglie, ragazzi e bambini che combattono la propria battaglia con la calma dei giusti. E questa volta il sole che tenue spunta dalla terra sembra davvero poter illuminare non solo la notte di Michael Kiwanuka ma anche spazzare una volta per tutte le tenebre razziste a stelle e strisce.

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