"Puccini e la fanciulla", di Paolo Benvenuti

Sembra uno sguardo stagnante di quello di Paolo Benvenuti: il cinema, qui, viene costantemente allontanato da un’estetica che fallisce ancora una volta nel tentativo di donare una vita e uno spessore alle figure che si stagliano dai documenti, dalle testimonianze – messe in scena con la stessa, rigorosa ed impersonale freddezza di un telegramma che annuncia morte, o del rapporto d’archivio che funge da resoconto di un’indagine del passato, quella per chiarire il suicidio della domestica di Puccini. Fuori Concorso a Venezia 65

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Forse per Benvenuti il vero protagonista di questo  suo nuovo film, realizzato insieme alla moglie Paola Baroni, è il Lago di Massaciuccoli, lo specchio d’acqua su cui sorge Torre del Lago, la località toscana celebre per aver ospitato Giacomo Puccini nella sua sontuosa villa di pietra. Intorno alle sponde del lago, tra la vegetazione, sulle barche e sulle locande su palafitte per pescatori e cacciatori si svolge la torbida vicenda che vede incrociarsi drammaticamente le esistenze del compositore, della sua devota domestica Doria, di Giulia che canta canzoni popolari allo “Chalet Da Emilio” proprio sotto la finestra della camera di Puccini, della moglie del Maestro, Elvira, e della loro figliastra Fosca.

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Eppure è difficile immaginare un cinema maggiormente stagnante, uno sguardo che riesca con minore efficacia di questa a cogliere i riflessi sull’acqua, la luce in testa alle onde delle passioni, le correnti delle esistenze, i flussi delle emozioni, le trasparenze degli affetti. Il cinema di Benvenuti, con grande eleganza e leziosità, segue i canali del Lago, si infiltra tra i canneti, scorre a fil d’acqua, si compiace imperdonabilmente nel finale di un’ombra nera che attraversa le pareti dipinte della villa, messaggera di un dispaccio di morte: e si ingorga nuovamente, in un piccolo vortice che gira intorno a se stesso senza sosta, in un rivolo senza sbocco, immobile, destinato presto a imputridire verdastro. Forse per dimostrare con convinzione la propria alterità nei confronti dell’imbarazzante panorama fiction in costume dei piccoli schermi italici, i personaggi non parlano, per loro lo fanno fuoricampo una fantastica esecuzione per pianoforte de La fanciulla del West, che Puccini componeva in quel periodo, e le missive (ritrovate con un certosino lavoro di ricerca dagli allievi della Scuola di Cinema di Benvenuti) tra i personaggi, che ricostruiscono la reale vicenda per cui alla fine, accusata ingiustamente di essere l’amante di Puccini, la candida e pura Doria si tolse la vita avvelenandosi. E’ il 1908, il cinema va muovendo i suoi primi passi, a Benvenuti piace ogni tanto ricordarsene, nella figura di un padrone di fabbrica da film muto, nell’accompagnamento del pianoforte ad alcune sequenze che pure a volte pare rimandare agli stilemi di quel cinema, e in un arrivo del treno alla stazione che però intravediamo unicamente da lontano, attraverso il piccolo spazio dietro due costruzioni. Pare allora abbastanza lampante: il cinema, qui, c’entra poco o niente, e più che lontano viene costantemente allontanato da uno sguardo che fallisce ancora una volta nel tentativo di donare una vita e uno spessore alle figure che si stagliano dai documenti, dalle testimonianze – messe in scena con la stessa, rigorosa ed impersonale freddezza di un telegramma che annuncia morte, o del rapporto d’archivio che funge da resoconto di un’indagine del passato.

Regia: Paolo Benvenuti
Interpreti: Riccardo Moretti, Tania Squillarlo, Giovanna Daddi, Debora Mattiello
Durata: 84'

Origine: Italia, 2008

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