Pulp Fiction, di Quentin Tarantino

Ha frantumato i pilastri del cinema classico e moderno mescolando generi con provenienze diverse con uno stile unico che ha fatto scuola. Un irrinunciabile cult. Palma d’oro al 47° Festival di Cannes


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Pulp Fiction contiene nel titolo la chiave interpretativa: un genere letterario (pulp) caratterizzato da temi violenti ed efferati che viene disinnescato nella sua forza eversiva dalla destrutturazione finzionale (fiction) dello stile. Quentin Tarantino compie questa azione decostruttiva agendo sulla sceneggiatura scomponendola in pezzi e manipolando il tempo. Lavora sui personaggi affidando loro lunghi dialoghi che rallentano il ritmo prima che avvenga una forte esplosione visiva o un twist narrativo. Rispetto a Le Iene Tarantino inserisce elementi parodici e ironici che mettono immediatamente in crisi la violenza delle immagini.

I killer melvilliani in giacca e cravatta Vincent Vega (John Travolta) e Jules (Samuel L. Jackson), il pugile suonato Butch (Bruce Willis) e la fidanzata piagnucolosa Fabienne (Maria De Medeiros), il gangster Marcellus Wallace (Ving Rhames) e la moglie Mia (Uma Thurman), i rapinatori dilettanti Zucchino (Tim Roth) e Coniglietta (Amanda Plummer), la caricatura di James Bond Mr Wolf (Harvey Keitel), lo spacciatore Lance (Eric Stoltz) e la consorte piena di piercing Judy (Rosanna Arquette), perdono la loro bidimensionalità e moralità parlando e agendo come personaggi di un fumetto, di una storia hard boiled.

Pur compiendo azioni terribili e violente sembrano abitare un mondo favolistico, un universo pieno di citazioni cinefile che vanno da Roger Corman a Godard, da Melville a Fellini, da Hawks a Brian De Palma, mescolando alto e basso in un processo di metafiction. Ci sono frasi ad effetto che potrebbero essere uno status su qualsiasi social media: “ Sono Mr. Wolf, risolvo problemi.”, “Non è una moto, è un chopper”, “ Ho una cura medioevale per il suo culo”, “ Non è ancora giunto il momento di farsi i p****ni a vicenda”, “Royale con formaggio”.

Classico, moderno e postmoderno convivono con le tecniche di ripresa: il campo controcampo usato prima normalmente, poi con pause prolungate (Mia e Vincent che si guardano in silenzio al ristorante), l’uso delle ripresa dal basso (la scena in casa dello spacciatore Lance, il punto di vista dal bagagliaio), il dettaglio argentiano (l’ago che entra nella vena di Vincent, l’adrenalina intracardiaca), il lungo piano sequenza che precede il climax (Jules e Vincent che parlano di massaggio ai piedi prima di “entrare nei personaggi”) e la macchina a mano in presa diretta (nel momento del panico da overdose, Tarantino la sposta nervosamente da un personaggio all’altro, così come nel finale dove il triello Leoniano diventa un confronto a quattro), la steadicam vertiginosa che dà l’impressione di essere in un videogame (la bellissima panoramica al Jack Rabit Slim’s). Così ogni scena diventa mito, il MacGuffin (il contenuto della valigetta di Marcellus Wallace) appare ipnotico (la citazione è da Un bacio e una pistola di Aldrich) e alcune inquadrature si sono trasformate ai giorni d’oggi in meme (“Confused John Travolta”). Il discorso sull’orologio d’oro di Christopher Walken passa repentinamente dal melodrammatico al comico. Pop Fiction.

Ereditando il modello di Oldenburg, Lichtenstein e Warhol, Tarantino sembra anticipare di quarant’anni la moderna società dei copia e incolla, dei reels, dei selfie in quel rito egocentrico che normalizza la complessità. Il carattere di gioco per adulti si manifesta apertamente nella scena al Jack Rabit Slim’s, il ristorante interamente ricostruito in studio che rappresenta l’ipermercato dell’immaginario pop americano anni ’50: sosia di Elvis Presley, James Dean, Marylin Monroe, Mamie Van Doren, Buddy Holly; menù ispirati a Douglas Sirk e Durward Kirby, poster cormaniani alle pareti (Attack of the Crab Monster, Rock All Night, High School Confidential), coca alla vaniglia e frappè  (Dean) Martin & (Jerry) Lewis da 5 dollari. In questo scenario “camp” , Vincent e Mia, sulle splendide note di You Never Can Tell di Chuck Berry si scatenano in un ballo leggendario che ha movenze ereditate dal twist di Barbara Steele e Mario Pisu in 8 e ½ di Fellini. Uma Thurman si agita come la gatta Eva Gabor negli Aristogatti ma con il caschetto “french” dell’ Anna Karina di Questa è la mia vita.

La luce di Pulp Fiction è molto particolare ed è una delle prime cose che colpisce lo spettatore: la pellicola utilizzata è una 50 ASA Kodak che richiede una forte illuminazione e esalta la nitidezza dei colori come in un quadro di Lichtenstein. In una delle scene più esilaranti del film, quella di Mr. Wolf che aiuta Jimmy (cameo di Quentin Tarantino) a ripulire la macchina, l’effetto della iperluminosità rende ancora più grottesca la situazione.

Il lavoro sulla colonna sonora riflette la stessa voglia di mescolare alto e basso: nei titoli di testa si succedono il ritmo incalzante di Misirlou di Dick Dale e poi Jungle Boogie di Kool and the Gang a manifestare la doppia natura dell’opera tarantiniana tra lo spaghetti western e il crime macabro. Macabro che ha tutta la sua esplosione nella scena dell’overdose di Mia sulle ironiche note di Girl, You will be a woman soon di Neil Diamond nella versione degli Urge Overkill. Eppure intorno a questi “one dimensional character” senza morale si avverte un’aura di autoanalisi quando debbono compiere una scelta: Butch sceglie di tornare indietro e sistemare i due maniaci, Mia realizza la solitudine della propria vita dorata, Jules subisce una vera e propria illuminazione mistica che lo porta allo splendido monologo finale.

Palma d’oro al Festival di Cannes e Oscar alla migliore sceneggiatura, Pulp Fiction è un’opera che ha frantumato i pilastri del cinema classico e moderno mescolando i generi con contaminazioni provenienti da diverse  fonti, autoriali e non. Il successo mondiale del film ha generato una serie di imitazioni e di sotto filoni che non si sono ancora oggi esauriti. La formula dell’ibridazione delle varie forme della cultura di massa ha prodotto un modo nuovo di raccontare che regge il confronto con la contemporaneità.

 

Palma d’oro al 47° Festival di Cannes

Premio Oscar a Quentin Tarantino e Roger Avary per la miglior sceneggiatura originale

 

Titolo originale: id.
Regia: Quentin Tarantino
Interpreti: John Travolta, Samuel L. Jackson, Uma Thurman, Harvey Keitel, Bruce Willis, Tim Roth, Amanda Plummer, Maria de Medeiros, Ving Rhames, Eric Stoltz, Rosanna Arquette, Christopher Walken, Quentin Tarantino, Bronagh Gallagher, Frank Whaley, Phil LaMarr, Steve Buscemi, Peter Greene, Duana Whitaker, Angela Jones, Paul Calderon, Sy Sher
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 154′
Origine: USA, 1994

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5
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Il voto dei lettori
4.75 (4 voti)

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