Quando la sala diventa un’altra cosa (2)
Il cambiamento per quanto apparentemente innocuo è epocale: i cinema stanno facendo quello che negli anni ’70 era il mestiere dei cineclub.
quando la sala diventa un'altra cosa (2)
Il caso Zemeckis
Mentre a fine ottobre nelle sale di tutto il mondo usciva The Walk, l’ultimo straordinario film di Robert Zemeckis dedicato all’impresa del funambolo Philippe Petit, che nel 1974 attraversò le Torri Gemelle sospeso su un cavo senza protezione, per un paio di giorni quelle stesse sale celebravano i 30 anni di Ritorno al futuro, forse l’unica opera di Zemeckis insieme a Chi ha incastrato Roger Rabbit capace di diventare un vero e proprio “classico” del nostro tempo. Ebbene mentre il primo film s’è rivelato un flop immeritato un po’ dappertutto, ma in particolar modo in Italia, il revival di Ritorno al futuro ha fatto registrare un tutto esaurito degno dei migliori tour dei Rolling Stones.
Il dato è senza dubbio spiazzante e racconta bene una certa tendenza del cinema contemporaneo a puntare in modo particolare al passato, a una sorta di nostalgia vintage di cui trasversalmente ci siamo già occupati nel precedente numero del magazine (“Non si esce vivi dagli anni ‘80” scherzavamo, ma neanche troppo). Ci piacerebbe chiedere direttamente a Zemeckis cosa pensi di questa “politica” distributiva. Abbiamo la sensazione che non ne sarebbe così entusiasta. Di certo per il tipo di carriera e per la sua innata attenzione alla sperimentazione non facciamo fatica a credere che avrebbe probabilmente preferito un successo commerciale di The Walk rispetto all’esaltazione cinefila e anche un po’ nerd che ha accompagnato il revival di Ritorno al futuro (sul quale ci siamo peraltro soffermati ampiamente nel citato numero precedente). Il caso Zemeckis è interessante. Ci troviamo davanti al paradosso per cui un film modernissimo, girato in 3D e che racconta una storia inedita – su Petit c’era stato già il documentario Man on Wire di James Marsh ma non crediamo abbia condizionato particolarmente gli incassi di The Walk – viene snobbato dagli spettatori di oggi, attratti invece dal vedere in una sala cinematografica per la prima volta, ma anche seconda o terza, un classico degli anni ’80, un film che da anni può essere tranquillamente recuperato e visto in dvd, blu-ray o persino su Netflix. Di fatto è come se il pubblico avesse deciso con un pizzico di crudeltà di consegnare prematuramente il cinema di Zemeckis all’archivio, alla celebrazione storica, in barba a qualsiasi smarcamento modernista o autoriale del regista americano (incarnato da The Walk appunto).
Star Wars
Ecco. Il successo interplanetario del settimo episodio della saga ideata da George Lucas nel 1977 tra le righe racconta proprio questa ricollocazione del blockbuster in un’area che ha poco a che vedere con la sperimentazione e molto con il recupero di un modello già visto e conosciuto, già consumato, mappato, immediatamente riconoscibile. Il grande (e furbo) intuito della Disney e di J.J. Abrams con l’operazione de Il risveglio della Forza è stato proprio quello di ripudiare il digitale pittorico e saturo della trilogia prequel di Lucas, per rifarsi ai primi tre capitoli della saga (Una nuova speranza, L’impero colpisce ancora, Il ritorno dello Jedi) con un look semi-artiginale, personaggi, dialoghi, situazioni e temi musicali recuperati dall’archivio mnemonico di fan e addetti ai lavori. Anche qui si è consumato un divorzio doloroso e paradossale. Per recuperare lo spirito del Passato il “padre” Lucas si è dovuto fare da parte, rinunciando a qualsiasi rilettura tecnologica o politica del testo di partenza (tentativo esibito nella discussa triade La minaccia fantasma, L’attacco dei cloni, La vendetta dei Sith) e dando via libera ai suoi archivi da cui Abrams & co. hanno svuotato la cantina e rispolverato tutto il vintage possibile e immaginabile.
Che significa andare al cinema
Sopraggiunge un dubbio: se a essere consegnato all’archivio e alla storia fosse anche l’atto stesso di andare al cinema? La frequentazione di una sala cinematografica un tempo aveva connotati popolari e sociali di stampo quasi ecumenico e collettivo, ma oggi sembra un gesto individualistico, esclusivo ed elitario. E quando non lo è e diventa un Evento collettivo (Star Wars) si ha la sensazione di essersi imbattuti nell’esempio più lussuoso e fortunato di un modello di programmazione che prevede sempre più operazioni di rielaborazione storiografica.
A prescindere dall’episodio di Zemeckis, è da diverso tempo ad esempio che gli anniversari dei film del passato si scoprono eventi mediatici e commerciali irrinunciabili al punto da trainare riedizioni che vengono distribuite su grande schermo con ampio consenso popolare.
Che sta succedendo quindi al pubblico di cinema? Cosa vuole vedere (o rivedere) oggi uno spettatore? È cruciale capire cosa spinge oggi una persona a pagare un biglietto e fruire di un’opera pensata e realizzata per una sala cinematografica e per un pubblico di 20 o 30 anni prima. Forse si tratta semplicemente di misurare l’emozione di quel determinato film per chi nell’anno di uscita non era ancora nato, oppure di rivivere nostalgicamente un’emozione riconnettendosi con la propria infanzia e adolescenza, con la “prima” volta in cui ci si è imbattuti nell’opera in questione. Una cosa è però certa: questo fenomeno è come se attribuisse alla visione in sala una funzione “eccezionale”, molto intima ma allo stesso tempo saltuaria, episodica, lontana dalle logiche di mercato standardizzate. La sala cinematografica di fronte a queste operazioni di ripescaggio – non solo Ritorno al futuro, anche Ghostbusters uscito lo scorso anno, C’era una volta in America e tra qualche mese arriverà il turno di Quei bravi ragazzi di Scorsese, che compirà 25 anni – assume una valenza quasi accademica, simile alla stanza di un museo in cui andare per ricomporre i pezzi di una storia del cinema che la cultura digitale contemporanea, impostata sulla sincronicità orizzontale di clic sempre più rapidi e numerosi, rende forse troppo poco intellegibile e romantica.
I nuovi cineclub
Anche in Italia iniziano così a proliferare restauri e riedizioni cinematografiche di classici del passato, che paiono soprattutto preoccupati di ricreare un contatto culturale e nazionale molto esplicito con gli spettatori di ieri e di oggi. I casi più recenti riguardano due icone del nostro immaginario come Paolo Villaggio e Massimo Troisi, che sono tornati ad affollare i cinema con vecchi film. Se i primi due capitoli di Fantozzi diretti da Luciano Salce hanno visto la loro uscita in sala a ottobre per una settimana a testa in 200 copie in tutto il Paese, il 23 e 24 novembre è toccato a Ricomincio da tre del compianto attore e regista napoletano, anch’esso in 200 copie. “Le sale non hanno battuto ciglio, né avuto alcun dubbio nel proiettare il nostro film” hanno detto Lello Arena e Fulvio Lucisano a proposito della riedizione del film di Troisi, curata dalla Cineteca Nazionale. Gli esercenti fanno i loro calcoli e molto probabilmente scoprono che guadagnano più a proiettare Ricomincio da tre per due giorni, piuttosto che mantenere in cartellone un film americano alla terza settimana, o qualche commedia italiana fatta da attori che vengono dai cabaret. Il cambiamento però per quanto apparentemente innocuo è epocale. I cinema stanno facendo quello che negli anni ’70 era il mestiere dei cineclub, esercitano cioè una funzione che non è più soltanto intrattenimento ma assume contorni intellettuali, vicini all’operazione cinefila e didattica. È (già) un’altra cosa.
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