Quel posto nel tempo, di Giuseppe Alessio Nuzzo

Lega le incursioni cittadine di un malato di Alzheimer al recupero ideale del rapporto padre-figlia. Ma il tono solenne ne depotenzia in parte le ambizioni, privando di emozione il binomio uomo-città.

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La tensione secolare che porta i cineasti a confrontarsi con la memoria e i suoi fenomeni, è riconducibile allo stesso statuto iconico del mezzo audiovisivo, in grado com’è di restituire le dinamiche sfuggenti degli stati mentali attraverso l’immanenza estetica dell’immagine. Ma quello che l’inquadratura conserva nella sua visibilità, rischia di essere compromesso nel momento in cui ciò che si cerca di catturare è l’incapacità del soggetto di declinare correttamente nel tempo situazioni e ricordi, sia passati che presenti. È per questa ambiguità che le narrazioni sull’Alzheimer adottano stili di rappresentazione propriamente diversi, veicolando la progressione della malattia attraverso il suo racconto (Still Alice), oppure mediante la sua piena raffigurazione, come nel caso del formidabile The Father – Nulla è come sembra o in questo di Quel posto nel tempo.

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Sulla scia del film di Zeller, anche Quel posto nel tempo lega la condizione mentale di un malato di Alzheimer alle proprietà iconiche dell’immagine. Ma diversamente dal fotorealismo estetico con cui il regista francese sovrappone il mondo psichico del fragile protagonista a quello “reale” dell’appartamento in cui vive, qui Giuseppe Alessio Nuzzo si serve di un approccio diametralmente opposto, dalla marca più onirica e introspettiva. Nel raccontare il ritorno a Napoli di Mario (Leo Gullotta), un ex direttore d’orchestra ormai incapace di distinguere il presente dal passato, e il suo conseguente incontro/scontro con la figlia Michela (Beatrice Arnera), il cineasta posiziona l’uomo in un contesto rappresentativo incerto, dove l’immagine si fa impossibile spazio di convergenza di eventi appartenenti a temporalità diverse. Se la spazialità vasta di una “città sospesa” (in stile Nostalgia) diventa allora il mezzo ideale con cui raccordare le incursioni cittadine del wanderer ad un recupero immaginario del rapporto padre-figlia, al tempo stesso non è possibile riscontrare la medesima incisività sia nel registro tonale, che nell’impianto narrativo. All’assenza di democratizzazione tra eventi presenti e ricordi passati, separati – e non uniti – da una stucchevole illuminazione in sovraesposizione, segue una solennità di racconto che porta Quel posto nel tempo a depotenziare quello stesso dualismo uomo-città, così pregno di carica emozionale nella prima parte del racconto. L’ennesimo paradosso di un film sincero nelle intenzioni ma freddo nell’esecuzione, che smette di suonare ogni qualvolta si allontana dal silenzio della città.

Regia: Giuseppe Alessio Nuzzo
Interpreti: Leo Gullotta, Beatrice Arnera, Giovanna Rei, Erasmo Genzini, Tina Femiano, Gigi Savoia, Tomas Arana
Distribuzione: Nexo Digital
Durata: 87′
Origine: Italia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.7
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Il voto dei lettori
2.25 (4 voti)
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