Quel treno per Yuma, di Delmer Daves

Un western ombroso e lirico che si apre nel finale a un’improvvisa luce spirituale. Con il concetto di tempo contaminato da proiezioni metafisiche e psicologiche.

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Il concetto di tempo contaminato da proiezioni metafisiche e psicologiche. Il frenetico countdown di Mezzogiorno di fuoco (1952) mescolato con la ranch story de Il cavaliere della valle solitaria (1953). Quel treno per Yuma è entrato di diritto nella storia del western grazie alla scelta saggia di Delmer Daves di mettere uno di fronte all’altro due personaggi molto conflittuali, ognuno specchio dell’altro in un misto di attrazione/repulsione. Da una parte il capo banda Ben Wade (Glenn Ford) che dietro la spavalderia e l’arroganza nasconde il rimpianto per i bei tempi della giovinezza a San Francisco. Dall’altra l’allevatore Dan Evans (Van Heflin) che si trova in gravi difficoltà economiche per il prolungato periodo di siccità in Arizona e che per 200 dollari si offre di scortare il pericoloso bandito al treno delle 3 e 10 per Yuma.

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Daves e il suo sceneggiatore Halsted Welles utilizzano i brillanti dialoghi del racconto del grande Elmore Leonard per stabilire un ponte di comunicazione subliminale tra due personaggi solo in apparenza diversi. Le rispettive storie con i personaggi femminili, la barista Emmy (Felicia Farr) per Ben e la moglie Alice (Leora Dana) per Dan rivelano queste zone oscure che rendono invisibile la sottile linea tra il bene e il male. Ben Wade si perde nell’infinito degli occhi di una donna e resta nella sospensione magica di quello sguardo al bancone del bar per il tempo necessario per farsi catturare mentre Dan Evans proprio nella scena della cena in famiglia si accorge degli sguardi di intesa tra la moglie e il prigioniero aprendo quella ferita nell’orgoglio che è il motore di tutta l’azione successiva.

Per alleggerire  la tensione melodrammatica Daves inserisce qualche momento spassoso (Dan che taglia la carne a Ben, i due ragazzini che parlano in continuazione) e il personaggio dell’ubriacone Alex Potter (Henry Jones) che compie un parallelo percorso catartico. Le tecniche di ripresa privilegiano le soggettive dai cavalli in corsa (viene in mente un altro importante film di Daves, La fuga del 1947) e i movimenti del dolly verso l’alto sembrano simulare un punto di vista divino: in effetti in tutta la seconda parte del film dal momento dell’arrivo in hotel si respira un’aria afosa e surreale che anticipa l’irruzione del metafisico nel finale.

Contention City è una città fantasma popolata da ombre lunghissime esaltate dalla fotografia di Charles Lawton jr.; la sfilata del funerale del guardiano della diligenza rende spettrale l’atmosfera dell’attesa e gli stessi interni barocchi dell’hotel sottolineano l’aspro duello dialettico tra Ben-Mefistofele e Dan-Faust, tutto giocato tra la tentazione del peccato e la necessità della redenzione. Più volte il sorriso seducente di Glenn Ford incrina le certezze del giusto Van Heflin fino a quando dentro l’albergo irrompe prima la vendetta e poi l’orrore della morte appesa impietosamente a un lampadario: il western vira decisamente verso il noir.

Da questo momento la testardaggine di Van Heflin nel completare la sua missione diventa parente stretta di quella del Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco: soli, abbandonati da tutti, giudicati perdenti, i due uomini vanno avanti spinti dalla forza di un principio morale che arriva a sovvertire le regole della verosimiglianza. Il finale con il colpo di scena narrativo e metereologico è assolutamente in linea con la forza interiore di un eroe per caso che ribalta il proprio destino affascinando persino il villain.

Girato in un bianco e nero spettrale, incorniciato dalla celebre ballata di Ned Washington e di George Duning cantata da Frankie Laine, Quel treno Per Yuma è un western ombroso e lirico che si apre nel finale all’improvvisa luce spirituale. Nel 2007 James Mangold diresse il remake con Christian Bale e Russel Crowe spingendo molto sul lato spettacolare, tralasciando il confronto introspettivo e modificando pesantemente il finale. Noi rimaniamo affezionati al classico, a quel fumo bianco della locomotiva dentro il quale sembra nascosta l’ultima possibilità di riscatto.

 

Titolo originale: 3:10 to Yuma
Regia: Delmer Daves
Interpreti: Glenn Ford, Van Heflin, Felicia Farr, Leora Dana, Henry Jones
Durata: 92′
Origine: USA, 1957
Genere: western

 

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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