Qui brille au combat, di Joséphine Japy
Prova con alterno successo di unire il tema dell’autismo ai tratti del racconto di formazione ed ottiene un risultato altalenante ma comunque dignitoso. CANNES 78. Séance spéciales

La storia che Joséphine Japy narra in Qui brille au combat è ispirata dalla sua vicenda personale, e precisamente del rapporto con la sorella minore affetta da un raro disturbo genetico.
Nel film la regista è mostrata attraverso il personaggio di Marion, adolescente ad un passo dal diploma, distratta dagli stessi problemi dei suoi coetanei, ma che a casa affronta la battaglia più grande, aiutata dai suoi genitori (la madre è interpretata da Mélanie Laurent, la Shosanna Dreyfus di Bastardi senza gloria di Tarantino ed il padre da Pierre-Yves Cardinal): crescere in sicurezza e riempire d’amore la quindicenne Bertille affetta da una sindrome sconosciuta che le impedisce di essere autosufficienti e potenzialmente pericolosa per sé stessa.
Qui brille au combat è un racconto di formazione e responsabilità, segnato dalle crisi ed i momenti di sconforto, su piccole e grandi delusioni romantiche; mai però si abbandona all’eccesso e restando sulla soglia, sul confine dell’attimo fatale evita la trappola che potrebbe fare crollare il pathos nel patetico strappalacrime da fiction di infimi ordine, evita insomma la speculazione del dolore.
Se la tematica dell’autismo lo porta nella cerchia di Rain Man, il modo di svolgerla è invece dalla parti di Buon Compleanno Mr. Grape da cui si discosta per la maggior dose di realismo. L’aspetto familiare è reso con una scenografia che privilegia l’ambiente domestico, stravolto, disordinato, rappresentazione letterale di uno scompenso, luogo spesso nel caos eppure sempre rifugio per abbandonarsi in un intimo abbraccio. Posto a volte invaso da persone spaventate dal comportamento di Bertille, con la paura che sfocia nell’arido. Famiglia resa come un banco di prova, come guscio per proteggersi dall’esterno, lo sviluppo più riuscito del film, che invece fa più fatica a seguire la sottotrama sentimentale di Marion che sembra avulsa dal contesto generale, soprattutto quando tocca tasti importanti, in primis l’amore tossico per un uomo più grande che a tratti assume carattere preponderante e poco si raccorda con il resto.
Qui brille au combat è un’opera prima che, pur senza eccellere, comunque funziona nella descrizione di un contesto difficile, che risulta autentica grazie al riferimento autobiografico, penalizzata da un finale incerto che si dirama in troppe direzioni, senza davvero sapere quale scegliere, lasciando all’ipotesi dello spettatore un compito che in un progetto di tal fatta non ha motivo di essere. Buona la gestione della parte sonora per restituire l’ipersensibilità a suoni e luci, l’influenza umorale e la complicata parte autolesionista, tutto arte di un blocco comunicativo inspiegabile. Malgrado i difetti, è un esordio comunque dignitoso.