"Racconti da Stoccolma", di Anders Nilsson

racconti da stoccolmaDura riflessione sulla nascita della violenza all’interno dei nuclei familiari. Un film che riesce a mantenere in equilibrio il crudo realismo delle immagini in cui si esplicita la violenza stessa con le esigenze dello spettacolo e della narrazione cinematografica, adottando le forme del thriller e rifacendosi ad uno dei suoi maestri, Alfred Hitchcock.

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Tre nomi: Leyla, Carina, Aram. Tre storie dietro questi nomi. Tre vicende in cui violenza e onore si intrecciano per portare alla luce gli istinti più bassi dell’essere umano. La sua animalità, il suo bisogno della violenza come forma di controllo e sopraffazione.
Le storie di Leyla (e della sorella Nina) e Carina sono speculari. Donne picchiate e umiliate in nome di una superiorità maschile che si esplicita nelle dinamiche familiari, dove il padre-marito è colui che decide le regole da seguire. Due famiglie, una arabo-cristiana (anche se non è mai detta la vera nazionalità di questo nucleo) e l’altra svedese. Due mondi apparentemente contrapposti, lontani, distanti che trovano un punto d’unione proprio nelle forme di violenza perpetuate nei confronti delle donne. Nella prima una tradizione da rispettare che vuole le donne vergini fino al matrimonio e nell’altra il successo di una donna nei confronti del marito che diventa il detonatore di esplosioni di invidia e dolore. La terza storia è quella di Aram, un uomo che gestisce un locale e che si trova coinvolto in una situazione ambigua e misteriosa, che solo al termine del film si collegherà con le vicende di Leyla e Carina.
Ed è proprio la storia di Aram a tracciare una linea di confine tra il crudo documentarismo che poteva nascere dal bisogno di raccontare fatti violenti e le esigenze dello spettacolo e della narrazione cinematografica. In questa ultima storia si riscontrano quegli elementi thriller che tanto interessano al regista (amante proprio di questo genere e di uno dei suoi maestri, Alfred Hitchcock) e che trasformano questo film oltre che in una dura riflessione sul tema della violenza anche in una pellicola di genere, in cui la tensione del racconto non viene mai meno e dove la tecnica (molto utilizzata la steadycam) e la messinscena sono accurate e studiate. Il titolo internazionale del film, traduzione letteraria di quello svedese, è When Darkness Falls e rimanda ad una legenda che vede nell’arrivo della notte anche la venuta degli esseri malvagi. Per questo si accendono nelle case candele che li scaccino. E negli interni, nelle stanze in cui si svolge gran parte del film sono proprio queste candele ad illuminare la violenza degli uomini, senza riuscire però a fermarla. E la speranza, che divampa nel finale, è forse la luce più neccessaria di tutte, perché alimentata dal bisogno di una giustzia, giammai divina, ma solo e sempre profondamente umana.

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Titolo originale: When Darkness Falls
Regia: Anders Nilsson
Interpreti: Oldoz Javidi, Lia Boysen, Reuben Sallmander, Per Graffman, Bibi Andersson, Bahar Pars Distribuzione: Teodora Film
Durata: 133'
Origine: Svezia, 2007

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    "Racconti da Stoccolma", di Anders Nilsson

    Presentato al 57esimo Festival di Berlino e vincitore del Premio Amnesty, Racconti da Stoccolma è la fotografia dura e vera delle violenze praticate e sofferte dentro realtà come la famiglia, la coppia, l’universo del lavoro. In questo impegno, assai lodevole, il film appare però disorientato, caparbio nel manifestare la necessità di mostrare, ma debole nel coinvolgere e colpire la dove sarebbe indispensabile.

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    C’è del marcio in Svezia. Parafrasando l’immortale Amleto le cose non sembrano cambiate la sù, nel nord dell’Europa, dove parole come accoglienza, integrazione, pari opportunità, welfare e politica progressista, nascondono realtà comuni in tante altre parti della numerosa comunità delle stelle dorate su sfondo blu. Presentato al 57esimo Festival di Berlino e vincitore del Premio Amnesty, Racconti da Stoccolma è la fotografia dura e vera delle violenze praticate e sofferte dentro realtà come la famiglia, la coppia, l’universo del lavoro. Spazi di vita quotidiana dove le vite all’apparenza assolutamente normali vengono sconvolte e lacerate dalla forza bruta dei soprusi e dei ricatti. Vittime e volti di questi racconti svedesi sono tre esistenze: Carina (Oldoz Javiti) giornalista televisiva in carriera picchiata e umiliata dal marito, collega sul lavoro ma epidermicamente geloso dei successi della moglie. La giovane Leyla (Lia Boysen) che vede la sua famiglia trasformarsi in una banda di assassini per rispettare un assurdo codice morale e patriarcale che vede vittima la sorella Nina, troppo frivola con i ragazzi della sua stessa età. Infine Aram (Reuben Sallmander), gestore di un locale notturno che diventa il bersaglio di una gang di balordi pronta a minacciarlo di morte dopo aver gambizzato il suo addetto alla sicurezza del quale è innamorato. Sono questi i volti che dovranno lottare con tutte le loro forze per rompere e scardinare i vincoli che li sottomettono alla violenza misera e isterica dei propri aguzzini, il marito o

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    il padre. In questo impegno, assai lodevole, nel denunciare la brutale sopraffazione che spesso rimane ai margini di una società moderna, civile e democratica, ma ancora viva, presente e latente. Anders Nilsson (coregista del thriller Zero Tolerance) sembra interessato più a congegnare i meccanismi dell’ accusa, che ad aprirci con il suo sguardo alle sofferte emozioni dei personaggi. Così anche l’impegno in un montaggio che sorregga l’intera pellicola rimane un’ancora troppo pesante, e le tre storie assumono la superficialità dello stereotipo. Un cinema disorientato, caparbio nel manifestare la necessità di mostrare, ma debole nel coinvolgere e colpire la dove sarebbe indispensabile.

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    Titolo Originale: Nar morkret faller
    Regia: Anders Nilsson
    Interpreti: Oldoz Javidi, Lia Boysen, Reuben Sallmander, Per Graffman, Bibi Andersson, Bahar Pars
    Distribuzione: Teodora Film
    Durata: 133’
    Origine: Svezia, 2007

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