Rachel, di Roger Michell

Piattissimo remake di Mia cugina Rachele di Henry Koster, mai al vertice della tensione. Con un opaco Sam Claflin e l’impressione che il film in costume sia a un punto morto

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Cosa resta del cinema in costume? Dopo Mia cugina Rachele del 1952, ecco la piattissima versione di Roger Michell del romanzo breve di Daphne du Maurier che dell’ambientazione sembra mantenere soltanto il quadro. Con lo stesso metodo del suo Persuasione. Sono passati 22 anni ma il tempo si è fermato. Prima la fedeltà al testo, poi l’attenzione ai dialoghi che possano mettere in luce le qualità teatrali degli attori, poi un viaggio alla Ivory vecchia maniera, con tappa anche in Italia (come Camera con vista) con la presenza di Pierfrancesco Favino, invaso di oggetti, alcuni decisivi come la collana.

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Inizio ‘800. Philip Ashley (Sam Claflin), rimasto orfano da piccolo, è allevato dal cugino Ambrose in una tenuta signorile in Cornovaglia, che poi sorprendentemente si sposa dopo un suo viaggio in Italia. Philip, non avendo più notizie

da lui, va in Toscana e scopre che l’uomo è morto. Si convince che sua moglie Rachel  (Rachel Weisz) sia responsabile della sua morte e pensa di vendicarsi. Però, dopo averla conosciuta, cambia atteggiamento. Ma chi è veramente Rachel?

Possono esserci tutti gli elementi per un thriller in costume. Con la protagonista Rachel Weisz nel ruolo che è stato di Olivia de Havilland e l’opaco Sam Claflin in quello di Richard Burton, in una tensione che s’inceppa appena inizia a decollare. Eppure Michell i meccanismi del genere in passato, ha dimostrato di conoscerli. Ipotesi di reato, con Ben Affleck e Samuel L. Jackson, è ad oggi il suo miglior film, ancora più di Notting Hill. Qui invece resta intrappolato sulle reazione dei volti, sui dettagli dei loro occhi con l’illuminazione oscura appena accennata dall’illuminazione delle candele. Parte con una voce-off. “Lei era innocente? Era colpevole?”.

Amore e perdizione. Dove il sangue resta intrappolato nella lettera. La passione e il sesso solo in squarci quasi horror (ma la casa Hammer non viene neanche considerata). Come in Mia cugina Rachele il punto di vista è sempre quello di Philip. Ma i ‘detour’ di Henry Koster, tra ambientazione vittoriana e componente onirica in un cinema che sembrava guardare direttamente William Wyler, qui non ci sono. Ma questo non sarebbe un problema. E neanche quello di un cinema lezioso che sembra arrivare dalla peggiore Jane Campion. Il danno maggiore è che qui sembra esserci il punto terminale di un cinema non solo letterario, ma proprio del mélo. Dove il ‘sublime’ è solo nella scogliera che sta crollando davanti a Philip mentre è a cavallo che appare quaso un effetto digitale di un disaster-movie di Emmerich. Del resto, più le figure sono centrali, più questo cinema sembra guardare altrove. Come alle pecore nella scena del funerale. Che cosa resta del film in costume?

 

Titolo originale: My Cousin Rachel

Regia: Roger Michell

Interpreti: Rachel Weisz, Sam Claflin, Pierfrancesco Favino, Holliday Grainger, Iain Glen, Poppy Lee Friar

Distribuzione: 20th Century Fox

Durata: 106′

Origine: Gb/Usa 2017

 

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