Raging Fire, di Benny Chan

Dopo il successo al botteghino cinese, viene presentato in una sezione del TFF39, Le stanze di Rol. Un action senza esclusioni di colpi, con fughe, proiettili vaganti e l’eterna lotta tra bene e male

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Sparatorie, inseguimenti, ricatti, sequestri. L’ultimo film di Benny Chan, finito poco prima della sua morte, contiene tutti questi elementi, assemblati per confezionare un action poliziesco nello stile inconfondibile del cinema Honkonghese.

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I protagonisti sono Cheung Sung-bong (Donnie Yen), detective con dei metodi non proprio convenzionali, adorato dalla sua squadra ed inviso alle alte sfere per la sua conclamata incorruttibilità. E Yau Kong-ngo, un ex poliziotto, non a caso pupillo di Cheung, finito tra le fila del nemico insieme ad un gruppo di colleghi, reduce dal carcere, pieno di rancore verso il capo e deciso a vendicarsi. Il film giustifica la storia scivolando all’indietro con l’utilizzo del flashback, per poi tornare subito ad un presente fatto di traffico di droga ed armi spianate, di milioni di proiettili vaganti, di auto e moto che sfrecciano sulle strade a velocità impazzita, nel folle tentativo di annullare le leggi della fisica. L’aggiunta delle arti marziali rende ancora più spettacolari le sequenze, la lotta corpo a corpo spinta al limite, in spazi sempre più ristretti, sulle macchine in corsa o in un equilibrio precario, per esasperare la sfida dentro coreografie impossibili. Normale per un maestro come Chan, uno dei più famosi registi del settore e conosciutissimo per la sua prolifica collaborazione con Jackie Chan, arrivato sullo schermo, dopo varie traversie produttive dovute agli alti costi, come un racconto di guardie e ladri.
La trama resta abbastanza classica, l’abnegazione ed il senso del dovere sono un must del genere insieme alla consapevolezza di una corruzione diffusa, necessaria per scaricare le responsabilità sulla parte più debole della catena, ed evitare ai dirigenti la pena, lasciando il peso ricada su qualcun altro. Immancabile un velo di ambiguità per i sistemi non ortodossi, tollerati dal vertice delle gerarchie, salve lavarsene le mani nel caso qualcosa vada storto e ci sia da distribuire le colpe. Anche Cheung non sfugge alla regola, si carica di turni di lavoro massacranti con eccezionale spirito di sacrificio, guidato da un senso della giustizia che si potrebbe definire divino, e trascura la moglie incinta. E neanche fa eccezione il cattivo, l’angelo caduto in disgrazia, ma in possesso delle migliori qualità, intuito e tenacia, diventato per la rabbia cattivo e spietato, uno schema perfetto per esaltare le azioni dell’eroe.

Accolto in patria all’uscita con un’incredibile favore di pubblico, il film è il lascito di un regista che rispecchia perfettamente tutto il suo lavoro. Il tema in fondo è quello di una fiducia che si trasforma in delusione, dove comunque a trionfare sarà il bene, dopo aver lasciato sul terreno un buon numero di vittime, innocenti o meno.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
2 (1 voto)
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