Rapiniamo il Duce, di Renato De Maria

Un Heist Movie apprezzabile e divertente che prosegue il discorso sulla rinascita del cinema di genere italiano. Il progetto, però, funziona a fasi alterne. Grand Public

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Renato De Maria, dopo il personalissimo “amarcord” sulla cantante e discografica Caterina Caselli – Una vita 100 vite, torna dietro alla macchina da presa con un Heist Movie alla I soliti ignoti, prodotto da Netflix.
Milano, 1945. La guerra è ormai agli sgoccioli e le forze nazi-fasciste sono pronte alla fuga verso la Svizzera. Uno scapestrato contrabbandiere di nome Pietro, per tutti “Isola” (Pietro Castellitto), scopre, grazie ad codice criptato, il luogo in cui si trova il tesoro nascosto di Mussolini, custodito nella “zona nera” e pronto ad essere trasportato fuori dal paese. Per mettere le mani sul leggendario malloppo, Isola e la sua ragazza (Matilda De Angelis), amante di un temibile gerarca fascista (Filippo Timi), decidono di formare una banda di furfanti. Il gruppo di disadattati progetta, così, un elaborato piano per rubare l’oro.
Rapiniamo il Duce riprende il dialogo ideale del proprio regista con la narrativa di genere, mescolando l’action alla commedia sentimentale, il film storico al fumetto.
L’operazione sembra trovarsi in continuità con la tendenza contemporanea delle produzioni italiane a ricreare un cinema di genere di qualità, i cui gli ultimi testimoni sono prodotti come Freaks out di Gabriele Mainetti o Diabolik dei Manetti Bros. È nel solco di questi progetti che si inserisce il film di De Maria. Il regista decide di operare intorno alle coordinate dell’action movie dalle tinte storiche. In questo senso, si parte da una verità storica (un tesoro fascista è sicuramente esistito) che presto viene disattesa per lasciare spazio alla storia di un’incredibile e rocambolesca rapina, mai realmente effettuata. L’heist-movie si mescola inevitabilmente anche alla commedia, grazie alla scelta di un cast che vede la presenza, tra gli altri, di Maccio Capatonda, Tommaso Ragno e Alberto Astorri. C’è tanta carne al fuoco, e il risultato finale è un’opera che riesce ad incidere soprattutto quando non si vuole prendere troppo sul serio, giocando con i diversi linguaggi cinematografici di cui si serve.

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Il grande sforzo produttivo è sicuramente rintracciabile per tutto il corso del film. Costante è l’uso degli effetti speciali che ricostruiscono ex novo una Milano devastata dalla guerra. La resa visiva forse risente di un eccessiva digitalizzazione dell’immagine, anche se riesce a sposarsi con una colonna sonora coraggiosamente anacronistica e straniante.
Decisamente meno incisiva è la caratterizzazione dei personaggi e la costruzione di un impianto narrativo fin troppo classico che potrebbe osare di più, specialmente nel finale.
Nel complesso, Rapiniamo il Duce è sicuramente un lavoro apprezzabile e divertente che prosegue un discorso sulla rinascita del cinema di genere italiano. Il progetto però funziona a metà. È ancora troppo acerbo per potersi esprimere al meglio ma dal percorso di rinascita intrapreso da De Maria e altri registi italiani sembra trasparire un notevole potenziale.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
3.67 (9 voti)
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