RAPPORTO HOOVER – 1. Indiscrezione


Dalla segreteria di Helen Gandy, l'indiscrezione è bandita, ma sembrerebbe essere il centro del mondo, il luogo in cui tutto scorre senza lasciare traccia. Il demone: Helen Gandy sa bene che non c'è scienza o osservazione che possa liberare J. Edgar dall'ossessione. Le persone: Helen Gandy ha ragione di pensare che è il tempo, e non la morte, a preoccuparci. Il tempo: non è più o non è ancora…

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j.edgar Helen Gandy chiede ad un giovanissimo J. Edgar Hoover, nella biblioteca del Congresso, di cercare la parola “indiscrezione”. E' la parola del secolo: “Di chi e di cosa siamo contemporanei? E, innanzitutto, che cosa significa essere contemporanei?”. Il contemporaneo è anche l'”intempestivo”: subito dopo aver trovato il testo corrispondente alla parola “indiscrezione”, J. Edgar chiede la mano ad Helen Gandy e riceve un rifiuto. Da quel momento Helen Gandy sarà la segretaria personale del fondatore dell'FBI e la custode del famigerato archivio top secret. Considerazioni intempestive, trapassando il sogno americano, impronte digitali che marchiano il XX secolo, con le quali J. Edgar vuole fare i conti col suo tempo, prendere posizione rispetto al presente. Intempestiva questa considerazione lo è, perchè cerca di comprendere come un male (comunista bolscevica…), un inconveniente e un difetto qualcosa di cui l'epoca va giustamente orgogliosa, cioè la sua cultura storica, perchè siamo tutti divorati dalla febbre della storia e dovremmo almeno rendercene conto.

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J. Edgar, situa la sua pretesa di “attualità”, la sua “contemporaneità” rispetto al presente, in una sconnessione e in una sfasatura. Appartiene veramente al suo tempo, è veramente contemporaneo colui che non coincide perfettamente con esso né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio per questo, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo. Questa non-coincidenza, questa discronia, questa indiscrezione, non significa, naturalmente, che contemporaneo sia colui che vive in un altro tempo. Clint Eastwood, attraverso J. Edgar, ha j.edgarritrovato la contemporaneità dello sguardo, quella singolare relazione col proprio tempo, che aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze; più precisamente, essa è quella relazione col tempo che aderisce a esso attraverso una sfasatura e un anacronismo. Ma è con Helen Gandy, più che con J. Edgar, la chiave discreta di questa storia, che si scopre il segreto più profondo: coloro che coincidono troppo pienamente con l'epoca, che combaciano in ogni punto perfettamente con essa, non sono contemporanei perché, proprio per questo, non riescono a vederla, non possono tenere fisso lo sguardo su di essa. J. Edgar invece tiene fisso lo sguardo nel suo tempo, per percepirne non le luci, ma il buio. Tutti i tempi sono, per chi ne esperisce la contemporaneità, oscuri. Contemporanea allora è Helen Gandy, perché sa vedere questa oscurità e discretamente la subisce, intingendo la sua presenza nella tenebra del presente.

 

Il cinema in J. Edgar è favolosamente contemporaneo perché non si lascia accecare dalle luci del secolo scorso e riesce a scorgere in esse la parte dell'ombra, del noir, la loro intima oscurità; percepisce il buio del suo tempo come qualcosa che lo riguarda e non cessa di interpellarlo “discriminatamente”, qualcosa che, più di ogni luce, si rivolge direttamente e singolarmente a esso. Questo cinema riceve in pieno viso il fascio di tenebra che proviene dal suo tempo e si maschera nel passato per preservare la sua forza prorompente. Dalla segreteria di Helen Gandy, l'unica “sopravvissuta” che potrebbe svelare i segreti più reconditi, l'indiscrezione è bandita, ma sembrerebbe essere il centro del mondo, il luogo in cui tutto scorre ma senza lasciare traccia. Verità: per Helen Gandy la verità è una relazione tra pensiero e realtà, e la realtà è oggettiva, non è creata dai nostri concetti, né necessariamente descritta in maniera efficace da essi. E le credenze di J. Edgar? Come potrebbero essere vere, allora? Il demone: Helen Gandy sa bene che non c'è scienza o osservazione che possa liberare J. Edgar dall'ossessione. Le persone: j.edgarHelen Gandy ha ragione di pensare che è il tempo, e non la morte, a preoccuparci. Così il corpo senza vita di J. Edgar è lungo su un fianco, a terra e non sul letto, perché è mancato il tempo. Il tempo: non è più o non è ancora. Helen Gandy è oggetto nel mondo della natura, vincolata dallo spazio e dalla causalità, è soggetto dominato dalla ragione e dalle sue leggi immutabili. La libertà: Helen Gandy sembra un nuovo tipo di creatura moderna. Un essere umano non indiscreto, ma depersonalizzato, in cui soggetto e oggetto camminano separatamente, il primo in un mondo di sogni senza speranze, il secondo verso la distruzione. La moralità: Helen Gandy sa benissimo che il vero problema non è quello di giustificare i giudizi morali, ma quello di giustificare i concetti da cui essi dipendono. Il mondo umano avrebbe un senso? Il sesso: Helen Gandy tende verso l'altro, J. Edgar. Un movimento impercettibile verso l'atto sessuale , che non può essere separato né dai pensieri su cui si fonda, né dal desiderio che lo provoca. La storia: Helen Gandy crede alla storia delle idee che non è la storia di ciò che è credibile, ma della volontà di credere.

 

Non è dato saperlo, ma è possibile credere che in quei documenti segreti, conservati accuratamente da Helen Gandy, mai ritrovati e forse completamente distrutti, prima che Nixon potesse impadronirsene, vi fossero anche alcune memorabili foto di Paul Fusco, che con raggelante “discrezione”, hanno raccontato gli Stati Uniti, trapassando il sogno, valicando la speranza, imprimendo "Nell'occhio del mirino" l'anima segreta e immaginaria, come l'Uuomo Centenario Clint Eastwood ha saputo fare: “Era l'8 giugno 1968, un giorno caldissimo, un anticipo d'estate. Il viaggio durò più di otto ore attraverso cinque Stati: New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware e Maryland. Un milione di persone aspettavano lungo i binari. Il treno si muoveva lentissimo, si fermava spesso per dare la precedenza agli altri convogli, impiegammo quasi il triplo del tempo che si impiega normalmente. Ma era la velocità giusta per un funerale. Quel treno è stato il vero funerale, quello dell'America, è paul fuscodurato un'intera giornata, era fatto per il popolo. Era il funeral train”. È il corteo funebre di Robert Kennedy, che J. Edgar Hoover avrebbe voluto difendere, e prima di lui il fratello. Paul Fusco abbassò il finestrino e scattò la storia. Tutto scorre lungo il finestrino, Paul Fusco ferma quasi duemila ritratti, si vedono bambini scalzi, genitori con i neonati in braccio, pensionati con il cappello, coppie vestite con l'abito della festa, boy scout, donne in lutto, ragazze con vestiti coloratissimi, come voleva la moda alla fine degli anni Sessanta, suore che accompagnano le allieve di un collegio femminile, ragazzi seduti sulle motociclette, vigili del fuoco, famiglie in piedi sul tetto dei furgoncini, anziani che aspettano seduti sulla sedie a sdraio, uomini in bilico su un palo. Si vedono bambini piccoli che si sforzano di capire cosa sta succedendo, ragazzini che ridono, sollevano biglietti scritti a pennarello, sventolano bandiere a stelle e strisce. Si scoprono i cortili delle case, i giardini, periferie fatiscenti. Si vede una popolazione di tutti i ceti sociali, molti sono i neri. C'è chi si mette la mano sul cuore, chi fa il saluto militare, chi ride, chi tira fiori, chi si tiene la testa tra le mani, chi si inginocchia, chi prega.Verso il tramonto inquadra una famiglia di sette persone disposta in ordine d'altezza e di età, a sinistra la più piccola dei cinque figli a destra la madre, poi il padre. Tutti sull'attenti con la testa bassa. È la foto che meglio restituisce la malinconia dell'addio. La luce cala, le fotografie cominciano ad essere mosse, sgranate. Aveva una pellicola Kodachrome, quella che amava di più, ma era lenta e cominciò a preoccuparsi mentre vedeva il sole scendere. I volti si fanno sempre meno riconoscibili: è la dissolvenza di una storia, di una vita, del sogno americano. Look magazine non pubblicò nessuna di quelle foto. Il direttore disse che erano belle ma il concorrente Life uscì prima con le foto della morte e dei funerali; allora a Look decisero di fare uno speciale sulla vita di Bob Kennedy e il reportage di Fusco finì in archivio. Ci rimase per tre anni, finché la rivista non chiuse per una crisi economica e di pubblicità, nonostante vendesse più di sei milioni di copie. Nessuno voleva quelle foto, tutti dicevano di no…

 

j.edgarAltra storia sognante, di allucinazioni e miopie. Non è un’esagerazione dire che il cinema dell'al di qua di Clint Eastwood è comunque la storia di questo dilemma. È la storia di due visione opposte i cui alfieri oscillano, si curvano, nei modi e nelle strategie visive se non proprio nelle convinzioni più estreme. Eastwood è nato filosofo realista: la visione di cui assume le difese riflette una metafisica robusta, vicina al senso comune, fondata sulla duplice persuasione che il mondo sia strutturato in entità di vario genere e a vari livelli e che sia anche compito del cinema “portare alla luce” tale struttura. Eastwood, per contro, è oggi anche il filosofo antirealista (ma non per questo idealista): la sua è una metafisica scarna, asciutta, e nasce dal convincimento che buona parte della struttura che siamo soliti attribuire alla realtà esterna risieda a ben vedere nella nostra testa, nelle nostre pratiche organizzatrici, nel complesso sistema di concetti e categorie che sottendono alla nostra rappresentazione dell’esperienza e al nostro bisogno di rappresentarla in quel modo. La fine del mondo non finisce mai. 

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