RAPPORTO HOOVER – 4. Potere come dominio


Hoover è la sintesi perfetta e assoluta di una congerie di temi che da anni ossessionano e stimolano il cinema di Eastwood. Hoover è il tradimento dei principi, è il cuore inceppato di un meccanismo che non può più funzionare. Bruno Hauptmann, il lombrosiano personaggio che attraversa e incrocia il proprio destino con quello di Hoover, sopporterà il sacrificio della propria vita per un oscuro delitto che nessuno vede e nessuno ha mai visto e con questo si sarà ratificata la commissione del crimine

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La evidente linearità del cinema di EBruno Hauptmannastwood ruota attorno a definiti cardini che trovano uno dei loro fulcri all’interno di una dialettica politica. Un progressivo logico argomentare che trae la sua forza da una duratura riflessione che ha sempre posto al centro il tema del potere come dominio. L’elaborazione ha prodotto un tragitto artistico che ha portato Eastwood ad una complessa/complessiva messa in scena del suo concetto di potere. Il potere è la supremazia e il dominio e si manifesta con la manipolazione, con l’inganno, con la menzogna. L’apice della manipolazione è quella condotta dentro i fermenti della Storia, così come risulta scritta dai vincitori. Da questa innaturale modificazione della narrazione degli eventi prende avvio il cinema politico di Eastwood che non vuole ricomporre un dissidio, ma smascherare l’imbroglio per marcare la distanza. Tutto, anche a costo del sacrificio come i suoi cowboy dello spazio lanciati dentro una nuova odissea generata da un'altra falsa rappresentazione del reale.

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Nel grande inganno della storia, nell’oscura trama che travasa la sua falsa immagine in quella reale, Eastwood va alla ricerca di una mutevole messa in scena che rappresenti, nella sua reale espressione, la forza pervasiva di questo tenebroso e oscurante potere.

Hoover è la sintesi perfetta e assoluta di questa congerie di temi che da anni ossessionano e stimolano il cinema di Eastwood. Hoover è il tradimento dei principi, è il cuore inceppato di un meccanismo che non può più funzionare. Hoover è il figlio senza figli, è l’ultimo padre di un’America perduta dentro il sogno di una grandezza che non può più raggiungere. Ma che viceversa sembra raggiungere attraverso l’invenzione della falsità, quella di una bandiera piantata su un’isola, frutto di un imbroglio, di un uomo/padre ucciso dentro un’imboscata, frutto di una trappola. Un’America senza più padri, un potere divenuto assoluto che costruisce il dominio grazie ad una cecità collettiva che invade la Storia come fossimo dentro le buie atmosfere del racconto di Saramago.

Hoover padrone e mentore della sua storia sembra volerci giocare con gli avvenimenti, diventando demiurgo di un altrove che non è più mondo, ma maniaca versione personale frutto di una propria regola di giudizio. Il giudizio ha sempre le sue vittime, con il pregiudizio si ha la condanna senza colpe. Il dominio si alimenta del pregiudizio invocando, di volta in volta, il bene supremo della nazione, ma ricercando, in fondo, solo un mondo privo di regole o meglio di una funzionalità di queste alla propria perpetuazione. Nella sua inconsapevole azione, nel bene e nel male, colpevole o meno Bruno Hauptmann sarà vittima/carnefice di una storia più grande di lui. Hauptmann Nixon - Hooverlombrosiano personaggio che attraversa e incrocia il proprio destino con quello di Hoover sopporterà il sacrificio della propria vita per un oscuro delitto che nessuno vede e nessuno ha mai visto, vediamo solo il cadavere di un bambino innocente (quanti bambini innocenti nel cinema di Eastwood!) e questo avrà ratificato la commissione del crimine, nessuna prova a carico di nessuno potrà affermarsi dentro un processo di cui nessuno spettatore è testimone. Ancora una volta la storia è scritta dai vincitori e Eastwood non ne mostra la messa in scena. Era Ozu che non mostrava il defunto, perché la morte è irrapresentabile. Eastwood mostra la morte al lavoro, non l’effetto finale. Mostra Hoover genio assoluto che ha organizzato la messa in scena che, potentemente, come nella grande tragedia, si raffigura come padre degenere di un corpo sociale senza controllo.

Così il potere gioca la sorte dell’aguzzo assassino del piccolo Lindbergh. Un’altra sconosciuta verità, un’altra menzogna che autoassolve le proprie colpe. È questa la sorte di Hoover, assolvere se stesso che riscrive gli avvenimenti costruendo un labirinto di fascicoli, di dossier, di false piste, preparando i tempi per un futuro imminente. Quel futuro che vedrà aprirsi scenari globali dove giocare al risiko dell’inganno gli scenari bellici del Vietnam prima e del Kuwait dopo, e quindi dell’Iraq. La storia va avanti e i nuovi mostri si fanno largo. La morte di Hoover scatenerà le paure di chi lo segue che vorrà appropriarsi dei suoi misteri, dell’oscura forza del suo subdolo potere, del segreto e della forza del falso. Nixon entra nella storia. I tempi sono maturi per un’escalation sempre più incontrollabile. Tanto incontrollabile questa progressione della forza del potere fondato sul falso, quanto invece controllata la parola dei suoi protagonisti. È ancora il cinema che ne da conto, è Ron Howard che colma il vuoto e racconta un’altra genialità votata al falso. Hoover/Nixon uno scontro tra grandi manipolatori che il cinema ha restituito ai posteri come pasto nudo di verità.

Su questa scena si gioca il senso perduto della paternità, sostituita dalla maligna “patrignità” quella che trova, ancora una volta, un epigono in J. Edgar Hoover e un successore in Nixon.

La falsificazione del quotidiano, per Eastwood passa per la narrazione di questi personaggi: Walter il piccolo protagonista di Edward HopperChangeling, il nero Frank Washington (casualità del cognome!), protagonista di Fino a prova contraria,  ancora Robert “Butch” Haynes in Un mondo perfetto, tutti incolpevoli comparse divorate da una storia che a nessuno di loro appartiene. Le loro figure, come rivalsa dopo un tradimento, come emerse dalle ombre hooveriane, rivivono dentro l’immaginario eastwoodiano e qui, i personaggi sembrano confondersi all’orizzonte con le verità assolute dell’asciutta narrazione di Cormac McCarthy. Eastwood e McCarthy, due conoscitori del mito, due creatori di immaginario, che sembrano ritrovarsi come seduti a contemplare l’America. All’interno di queste affinità elettive è misurabile una differenza tra i due scenari. McCarthy costruisce un mondo alieno, senza perfezione, ma nel quale è assente il dominio del potere politico, le leggi naturali dettano la supremazia, nel gioco spietato del fatalismo degli eventi. In un mondo così lontano dalle geometrie di un potere istituzionale, un personaggio come Hoover, che vive dentro il complotto, istituzionalizzandolo, non potrà mai trovare spazio nella mente dello scrittore americano. Eastwood assicura il proprio cinema alla scena pubblica raccontando l’effetto dell’inganno e il male oscuro del Paese. 

È per questa ragione che Hoover nel suo chiaroscuro fa parte dell’immaginario del regista che gli affida il compito di ordire l’imbroglio dentro il quale ci sarà sempre un Hauptmann. Un colpevole a prescindere da qualsiasi ulteriore riflessione. Un colpevole che diventerà strumento e mezzo per traghettare la falsa verità della storia.

Dalla radio dell’epoca forse apprenderemo che, in realtà, pare che Hoover non abbia mai catturato Hauptamann. Ma non basta la consapevolezza di questa omissione per ricondurre il nostro nell’alveo della verità. Ci verrà raccontato, della sua perenne oscurità, della sua wellesiana insoddisfazione. Sarà l’opera di ricostruzione della verità scevra da ogni dominio del falso a restituire il senso di un paese smarrito. Sarà la muta espressione dei nativi di The New world davanti al cacciatore bianco dal cuore nero a farci sentire le radici profonde di questa nazione.

McCarthyÈ proprio questa profonda tenebra del cuore dell’America che Eastwood, passo dopo passo racconta, affondando i colpi di un cinema che man mano apre e definisce le sue prospettive, a manifestare il disagio per un passato che il suo autore non intende riconoscere, né assolvere.

Raccontare i principi della nascita di una nazione e non quelli della nascita di una finzione diviene affrancazione dalla storia che si paga con una solitudine quella stessa che solo Edward Hopper ha saputo fissare. Quella solitudine che si raddensa nella notte ai bordi di un bancone di un bar. E allora immaginiamo un altro film eastwoodiano dentro le architetture geometriche e struggenti di una scena di Hopper, manifesto che spezza e raffredda ogni entusiasmo da New deal. Immaginiamo Hauptamann, forse colpevole di un orrendo crimine, ma comunque sconfitto e risucchiato da un potere senza regole, che lo ha prescelto quale necessario prezzo per una propria ennesima celebrazione. Lui malvivente aguzzo e tagliente dalla maschera che non conosce pietà, nel ricordo dello scacco mosso a Hoover ormai costretto a mentire e ad essere smascherato alle soglie della morte.

L’inganno è svelato perfino nei confronti di se stesso e forse solo in quel momento la vita gli si riavvolse tutta nella memoria Hoover, come Billy Parnham, disse a qualcuno:

– Io non sono quello che credete voi. Non sono niente. Non so perché perdete tempo con me.

– Bè, signor Parnham, io so chi siete. E so perché. Adesso dormite. Ci vediamo domattina. 

– Si signora.

 

 

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