RAVENNA NIGHTMARE FILM FEST 2009 – La ricerca dell'orrore

The Human CentipedeSi è conclusa sabato 31 ottobre la settima edizione del festival romagnolo dedicato all’horror: 4 giornate durante le quali è stato possibile assistere alla proiezione di 13 lungometraggi in anteprima nazionale, che hanno dimostrato il tentativo di restituire al genere la sua capacità di indagine del reale, in uno schema che andasse al di là delle pure convenzioni

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The Human CentipedeOrmai quella del Ravenna Nightmare Film Fest è una autentica missione culturale: l’abnegazione con cui il gruppo di lavoro, guidato da direttore artistico Franco Calandrini, non ha voluto cedere ai tagli di budget imposti dall’incultura figlia delle “chiusure dei rubinetti”, merita infatti rispetto e non stupisce notare come si sia rivelata oltremodo vincente: la risposta del pubblico è stata infatti entusiastica, tanto da costringere il multiplex CinemaCity, dove si svolgevano le proiezioni, a concedere, nell’ultima giornata, una sala con il doppio della capienza.

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La contrazione del programma, che ha visto purtroppo sparire retrospettive, eventi e cortometraggi, si è dunque concentrata sul solo concorso internazionale lungometraggi: una sfida che il festival ha voluto affrontare con radicalità puntando su un orrore non immediatamente riconducibile alla cifra più “pop” del genere (che pure non è mancata), spesso tracciando percorsi che sforavano dalle caratteristiche più immediate dell’horror per diventare piuttosto indagine sui luoghi oscuri del reale. Una autentica “ricerca dell’orrore” nel merito di storie spesso prive di aneliti fantastici, ma ugualmente capaci di colpire per la durezza delle situazioni e la capacità di guardare in faccia le pieghe malate del presente.

13 le pellicole presentate, tutte in anteprima nazionale, dove a farla da padrone sono stati gli outsider: non, dunque, i più attesi Descent 2 (sul quale torneremo in seguito), né sulle pur autentiche folgorazioni notturne del Barbe Bleue di Catherine Breillat (del quale si è già riferito da Berlino). Al contrario, a monopolizzare l’immaginario sono state invece le visioni estreme di The Human Centipede, vincitore con merito del festival, e di Life and Death of a Porno Gang, che ha portato a casa una menzione speciale della giuria, composta dal bravo regista inglese Andrew Parkinson, dalla director italiana Silvana Zancolò e dal critico Fabio Zanello (assente per influenza).

Nel caso di Human Centipede, in realtà, la visione su schermo arriva come ultimo atto di un processo che ha visto il film vivere di vita propria e consegnarsi al culto preventivamente: chiunque frequenti le community specializzate sa infatti come la bizzarria dell’idea enunciata sin dal titolo (ovvero la creazione di un millepiedi umano attraverso l’unione chirurgica di tre persone lungo la direttrice bocca-orifizio anale) sia bastata a Deliver Us From Evilrendere immediatamente celebre il progetto. A questo dobbiamo aggiungere la follia contagiosa del regista Tom Six, uno che si è fatto le ossa in televisione dirigendo la versione originale olandese del Grande Fratello e che qui affronta il genere con una rara capacità di equilibrio, tanto da confessare di aver suscitato reazioni diverse a seconda del pubblico, c’è chi ne ha apprezzato la componente grottesca affrontando la visione come un autentico e divertito happening e chi invece è rimasto totalmente sconvolto. Il film, in realtà, esaurisce la sua narrazione nel porre in essere l’idea di base, ma corre sottotraccia una metafora molto originale sull’incomunicabilità che si materializza attraverso una cacofonia di linguaggi (il cast è un misto di tedeschi, americani e giapponesi) che trova poi attraverso la surrettizia unione corporale un folle controcampo. Da rimarcare anche l’affascinante figura del mad-doctor di turno, una sorta di improbabile discendente del Conrad Veidt di Caligari, con alcuni tratti che fanno pensare a una versione invecchiata del Christopher Walken più truce e gigionesco. Da non perdere.

Con Life and Death of a Porno Gang, invece, il regista e sceneggiatore serbo Miladen Djordjevic ci racconta le disavventure di una improvvisata banda di amici che abbandona la Belgrado post bellica per girare un film, ma si ritrova poi costretta dagli eventi a girare degli snuff movie, commissionati da un integerrimo giornalista tedesco. Film estremamente politico e in grado di districarsi fra stili differenti, con una cifra grottesca che rimanda in parte alle opere di Kusturica, ma con una forza tutta personale, Life and Death of a Porno Gang è una durissima metafora di una miseria del vivere una guerra che continua a trascinarsi nei comportamenti quotidiani di una realtà che non sembra trovare un equilibrio.

Life and Death of a Porno GangAltrettanto dure le visioni proposte da Ole Bornedal, che dopo i fasti del Guardiano di notte, ci propone stavolta una interessante variazione sul tema di Cane di paglia con Deliver Us From Evil: il plot del capolavoro di Peckinpah è seguito con una certa fedeltà, ma è arricchito da una serie di sfumature che investono direttamente i problemi di convivenza fra le etnie in un’Europa afflitta da un razzismo strisciante e da un’invidia che arriva a contaminare i nuclei familiari. Chi invece tenta di iscrivere la durezza degli spunti con un lavoro principalmente incentrato sul versante formale è il tedesco Andreas Schaap, che tenta per la prima volta una fusione fra torture-porn e commedia sentimentale con il suo Must Love Death, riuscendo nell’incredibile mix e regalando dunque risate e colpi allo stomaco.

Impossibile infine non citare anche l’unico film che vede in parte coinvolta l’Italia, ovvero Death of a Virgin, del regista italo-canadese Joseph Tito, incentrato sui misteri di un convento della cittadina bergamasca di Caravaggio e che vede nel cast anche Maria Grazia Cucinotta: interessanti le ambizioni, ma il risultato è fiacco, a testimoniare, per l’ennesima volta, la debolezza di un cinema di genere che “ci prova”, ma non riesce a trovare la sua dimensione.

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