Ravenna Nightmare – Incontro con Pupi Avati per IL SIGNOR DIAVOLO

Prosegue felicemente il tour di Pupi Avati per la promozione di Il signor Diavolo (nelle sale dal 22 agosto), brillante ritorno al gotico-padano. Siamo stati all’incontro di Ravenna

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Prosegue felicemente il tour di Pupi Avati per la promozione di Il signor Diavolo (nelle sale dal 22 agosto), brillante ritorno al gotico-padano ripreso dopo diversi anni dedicati a commedie: «Ho scelto di presentare il film in Emilia-Romagna per vigliaccheria (ride). Scherzi a parte, in questa regione sento di poter parlare una lingua familiare». Bologna, Comacchio, Riccione, Cesenatico, Ravenna, sono tutti luoghi in cui il regista emiliano ha realizzato la maggior parte dei suoi titoli (Balsamus, l’uomo di Satana, La casa dalle finestre che ridono, Zeder, Impiegati, La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone, Tutti defunti… tranne i morti).
Tornando a Il signor Diavolo: «È un film semplice con un sunto essenziale: il male è ovunque», continua Avati, e un ottimo cast artistico, contraddistinto da interessanti scoperte, ci guida nei meandri più torbidi della provincia italiana: l’incredulo Gabriel Lo Giudice, il mostruoso Lorenzo Salvatori e il piccolo Filippo Franchini, che interpreta Carlo, motore ambiguo dell’intera vicenda, dotato di uno sguardo, secondo l’autore, «psicologicamente perturbante». Alessandro Haber, Andrea Roncato, Gianni Cavina, Lino Capolicchio (metafora attoriale del cinema avatiano per eccellenza, assieme al compianto Carlo Delle Piane) compongono la rosa nostalgica del cartellone. Menzione speciale per Chiara Caselli, qui alla sua prima prova con Avati, nelle vesti di una meravigliosa dark lady veneziana (ottimo il suo accento) con tanto di veletta, calze smagliate e sigaretta senza filtro tra le dita.

Un ritorno al cinema italiano di genere
Avati non lesina stoccate verso l’attuale sistema produttivo nazionale: «Il cinema italiano contemporaneo si presenta con un mercato scarno, perlopiù popolato da commedie con quasi sempre lo stesso parterre di attori. Sono lontani i fasti del cinema di genere nostrano, ci siamo ridotti a produrre storie rivolte a un presente casalingo». Dichiarazioni amare esposte per chiarire la situazione che il regista ha vissuto lungo la ricerca dei fondi per la realizzazione di Il signor Diavolo: «Quando ho proposto il film, ben sette produttori mi hanno risposto negativamente. Fortuna vuole che Rai Cinema e 01 Distribution abbiano accettato». Davanti al folto pubblico che affollava la sala ravennate, Avati si è sentito sollevato dall’ottimo riscontro: «Mi rincuora che ci siano tante persone per la visione del film. E se confortate me, lo fate anche verso i miei colleghi e le loro idee fino a ora mai realizzate».

Figure religiose e paure ataviche
Chiese, conventi, suore, preti, sagrestani ed esorcisti sono i tasselli di una storia, ambientata nel 1952 nelle campagne del Polesine, che si dipana tra congetture ecclesiastiche e bigottismo popolare. La cultura contadina viene impastata con la sacralità del male. Attraverso l’icona sacerdotale, Avati torna a illuminare (come già in La casa dalle finestre che ridono e Zeder) le proprie paure ataviche: «La figura del prete mi terrorizza perché è la persona più vicina alla morte. È depositario di misteri, cammina tra la Terra e il Cielo. Quando ero piccolo ricordo che i preti salivano sul pulpito e durante le omelie, stranamente, guardavano sempre me (ride)».

Io, un perdente?
Cifra curiosa del cinema di Avati sono i personaggi descritti. All’interno delle piccole comunità provinciali trattate nelle singole opere, salta all’occhio l’eterna sconfitta del protagonista di città (qui impersonato da Momenté, giovane funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia, che parte da Roma per far tappa prima a Venezia poi a Lio Piccolo): «I personaggi esterni risultano sempre perdenti rispetto alla realtà campanilista in cui vengono inghiottiti. Ne La casa dalle finestre che ridono, Zeder, L’arcano incantatore, ma anche in altri miei film, i protagonisti sono piccoli ometti che non riescono a realizzare le proprie aspettative. Sono come me». Però il lato positivo c’è: «Avendo già alle spalle 80 anni di vita, posso trarre i miei bilanci esistenziali e professionali. L’insoddisfazione produce infelicità, ma anche stimolo ed energia. Questo per dire che, al momento, non ho ancora realizzato il mio film della vita».

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È una questione vulnerabilità
A proposito dei rimandi agli altri suoi titoli, il regista non nasconde una profonda vena nostalgica: «Ne Il signor Diavolo c’è tutto quello che ho realizzato negli anni precedenti. Il futuro si trasforma in passato, i ricordi dominano. Pensavo di fermarmi prima, invece sono entrato nella terza età, misteriosa ma affascinante, dove si ripresentano tutte le sfumature dell’infanzia. Ecco perché anziani e bambini vengono spesso associati, sono due esempi di vulnerabilità. Con gli anni sono diventato molto più percettivo rispetto alla realtà che mi circonda e, di conseguenza, la mia vita dovrebbe concludersi a Bologna, in via San Vitale 51, luogo della mia gioventù, in cui miei genitori mi aspettavano ogni sera per cenare».

La serata, svoltasi venerdì 23 agosto 2019, è stata organizzata da Ravenna Nightmare Film Festival

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